Venere è spesso definito il pianeta “gemello malvagio” della Terra, con un clima estremo e una superficie ricoperta da decine di migliaia di vulcani. Nonostante non presenti una tettonica a placche tradizionale, Venere sembra avere una crosta più dinamica di quanto si pensasse. Un nuovo studio dell’Università di Washington a St. Louis, guidato da Slava Solomatov e Chhavi Jain, suggerisce che la crosta venusiana potrebbe essere soggetta a convezione crostale, un fenomeno ben noto in geologia, in cui il materiale caldo sale mentre quello freddo scende. La giusta combinazione di spessore, temperatura e composizione delle rocce, potrebbe generare risalite locali di materiale fuso, portando a un’intensa attività vulcanica. Questo potrebbe spiegare l’elevata concentrazione di vulcani su Venere e il motivo per cui la sua superficie appare geologicamente attiva, nonostante l’assenza di tettonica a placche.

Mappa dei vulcani presenti su Venere a cura di Rebecca Hahn, Washington University in St. Louis, 2023.
«Nessuno aveva davvero considerato la possibilità della convezione nella crosta di Venere prima d’ora», ha affermato Solomatov. «I nostri calcoli suggeriscono che la convezione è possibile e forse probabile. Se fosse vero, ci offrirebbe una nuova prospettiva sull’evoluzione del pianeta».
A differenza della Terra, dove la convezione avviene nel mantello, su Venere potrebbe verificarsi direttamente nella crosta, che è più spessa e calda rispetto a quella terrestre (stimata tra 30 e 90 km di spessore). L’intenso calore interno potrebbe creare moti convettivi, generando punti caldi che facilitano la formazione di vulcani.
Per verificare questa ipotesi, Solomatov e Jain hanno applicato nuove teorie sulla dinamica dei fluidi sviluppate nel loro laboratorio. I loro calcoli hanno suggerito che la crosta di Venere potrebbe effettivamente supportare la convezione, offrendo un modo completamente nuovo di pensare alla geologia della superficie del pianeta. Questa teoria spiegherebbe l’intensa attività vulcanica di Venere e il continuo trasferimento di calore dall’interno del pianeta alla superficie.
Confrontando Venere con altri pianeti, emerge che, mentre la Terra è caratterizzata dalla tettonica a placche e Mercurio ha una crosta relativamente stabile, Venere potrebbe rappresentare un caso intermedio. La mancanza di acqua potrebbe essere un fattore chiave nella sua evoluzione geologica: sulla Terra, l’acqua aiuta le placche a muoversi, mentre su Venere, l’assenza di acqua potrebbe aver impedito la formazione di un sistema tettonico globale, favorendo invece la convezione locale nella crosta.
Un confronto interessante riguarda anche Plutone, il pianeta nano ghiacciato ai confini del sistema solare. Le immagini della missione New Horizons hanno rilevato segni di convezione nella distesa di ghiaccio solido di azoto spesso 4 km nella regione Sputnik Planitia di Plutone, simili ai confini delle placche terrestri. Sebbene la convezione su Plutone e Venere avvenga in materiali molto diversi, entrambi i casi dimostrano che la convezione può modellare le superfici planetarie in modi inaspettati. «Plutone è probabilmente il secondo corpo planetario del sistema solare, oltre alla Terra, in cui la convezione che guida la tettonica è chiaramente visibile sulla superficie», ha spiegato Solomatov. «È un sistema affascinante che dobbiamo ancora comprendere appieno».
Solomatov spera che le future missioni su Venere possano fornire dati ancora più dettagliati sulla densità e sulla temperatura della crosta. Se la convezione sta avvenendo come previsto, alcune aree della crosta dovrebbero essere più calde e meno dense di altre, differenze che potrebbero essere rilevate tramite misurazioni gravitazionali ad alta risoluzione.
Le future missioni spaziali su Venere saranno, quindi, fondamentali per svelare questi misteri e riscrivere la nostra comprensione della geologia planetaria: le missioni Veritas della Nasa ed EnVision di Esa, che vedono un’importante partecipazione italiana, raccoglieranno dati ad alta risoluzione sulla temperatura e la densità della crosta venusiana, permettendo di verificare l’esistenza della convezione crostale.
Anche grazie agli strumenti di bordo all’avanguardia sviluppati in Italia con il contributo dell’Agenzia Spaziale Italiana, tra cui radar avanzati e sensori a infrarossi, Veritas mira a produrre mappe globali 3D ad alta risoluzione e ad analizzare la composizione della superficie di Venere, fornendo una comprensione completa della morfologia e geologia del pianeta. EnVision integrerà Veritas, mappando porzioni significative della superficie del pianeta con radar e spettrometri avanzati, esaminando i ruoli dei vulcani, della tettonica a placche e degli impatti di asteroidi nella formazione del nostro gemello. Queste missioni sono pronte a fornire lo sguardo più dettagliato di sempre su Venere, svelando nuove intuizioni sulla sua geologia ed evoluzione.
La ricerca per comprendere Venere è una testimonianza della nostra innata curiosità e del nostro desiderio di esplorare l’ignoto. È un promemoria che ci sono ancora molti misteri in attesa di essere svelati nel nostro sistema solare e che persino i nostri vicini planetari più prossimi possono riservare sorprese inaspettate. Spingendo i confini dell’esplorazione scientifica, non solo espandiamo la nostra conoscenza dell’universo, ma acquisiamo anche un apprezzamento più profondo per i processi intricati e dinamici che modellano i mondi che ci circondano.
Foto: Vista prospettica tridimensionale generata al computer della superficie di Venere.
Crediti: Nasa/Jpl-Caltech