La missione Envision dell’Esa ha come obiettivo la mappatura ottica, spettrale e radar del gemello della Terra, Venere. Per poter svolgere questi compiti, la sonda ha bisogno di utilizzare la tecnica dell’ aerofreno o aerobraking, che provvederà ad abbassare la sua orbita grazie a migliaia di passaggi attraverso l’atmosfera calda e densa del pianeta. Il test è in fase di svolgimento presso il Materials and Electrical Components Laboratory dell’Estec nei Pesi Bassi. 

«Envision si inserirà nell’orbita di Venere a un’altitudine molto elevata, circa 250000 chilometri – afferma Thomas Voirin dell’Esa – e dobbiamo scendere a un’orbita polare di 500 km per poter effettuare  le operazioni scientifiche. Per dare il via alla fase scientifica la sonda compirà diversi passaggi nell’atmosfera superiore di Venere, arrivando fino a 130 chilometri dalla superficie».

Il generatore di ossigeno atomico del laboratorio Leox dell’Esa. Credit: Esa

Secondo i tecnici della missione, la frenata aerodinamica intorno a Venere sarà molto più impegnativa di quelle compiute in precedenza dalle altre missioni. La gravità di Venere è circa 10 volte superiore a quella di Marte e la navicella sperimenterà una velocità doppia rispetto a quella di Tgo  Di conseguenza Envision dovrà puntare a un regime di frenata inferiore.

La tecnica di aerobraking è già stata utilizzata da altre due missioni Esa, Venus Express nel 2014 e il Trace Gas Orbiter (Tgo) di Exomars, nel 2017. 

Ma non è tutto. La presenza di ossigeno atomico erosivo renderà ancora più complessa questa delicata fase della missione. Questo elemento è il risultato di molecole di ossigeno standard che vengono frantumate dalla potente radiazione ultravioletta del Sole.

La sua presenza non è stata notata durante i primi decenni dell’era spaziale ed è stato scoperto solo nei primi anni ottanta, dopo i primi voli dello Space Shuttle. Nel dettaglio, gli ingegneri hanno osservato che l’ossigeno aveva danneggiato gravemente gli scudi termici dei velivoli. Oggi tutte le missioni al di sotto dei 1000 km – compresi i satelliti per l’osservazione della Terra e l’hardware per la Stazione Spaziale – devono essere progettate per resistere all’ossigeno atomico. 

La reazione del rivestimento esterno dello Space Shuttle Endeavour all’ossigeno atomico. Credit: Nasa

Le osservazioni spettrali dei passati orbiter che hanno scrutato Venere hanno confermato che questo elemento è diffuso anche nella parte superiore dell’atmosfera, 90 volte più spessa di quella terrestre. 

La Low Earth Orbit Facility (Leox) dell’Esa è l’ambiente giusto per trovare una soluzione al problema, dato che è in grado  generare ossigeno atomico a livelli di energia equivalenti alla velocità orbitale. L’ossigeno molecolare purificato viene iniettato in una camera a vuoto con un raggio laser pulsante focalizzato su di essa. Questo converte l’ossigeno in un plasma caldo la cui rapida espansione viene convogliata lungo un ugello conico. Quindi si dissocia per formare un raggio altamente energetico di ossigeno atomico.

I tecnici stanno sperimentando gli effetti del raggio su un’ampia gamma di materiali e rivestimenti provenienti da diverse parti di Envision, inclusi l’isolamento multistrato, gli elementi per la  localizzazione stellare e alcune parti di antenne. I risultati del test saranno resi noti entro la fine del 2022. 

L’Italia partecipa alla missione attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana. Nello specifico il nostro Paese avrà la responsabilità di realizzare il radar sounder per lo studio dei primi strati della superficie del pianeta a profondità dell’ordine di alcune centinaia di metri. Il principal investigator di questo strumento è Lorenzo Bruzzone del Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione e responsabile del Laboratorio di Telerilevamento (Remote Sensing Laboratory) dell’Università di Trento.

Immagine in apertura: rappresentazione artistica della sonda Envision. Credit:Esa