👉 Seguici anche sul nostro canale WhatsApp! 🚀

 

L’origine dell’acqua del nostro pianeta è tra le questioni più dibattute dai planetologi negli ultimi decenni. Una recente ricerca condotta da un team Nasa, che ha analizzato di nuovo le osservazioni fatte dalla sonda Rosetta, rivaluta il ruolo delle comete nel processo di formazione degli oceani.

Sappiamo che l’acqua era già presente sulla Terra durante la sua formazione, poco più di quattro miliardi e mezzo di anni fa, ma la maggior parte di questa è evaporata molto presto a causa delle temperature estreme e della vicinanza al Sole.
Circa ottocento milioni di anni dopo, quando il pianeta inizia a freddarsi, le temperature scendono sotto i cento gradi centigradi e le grandi quantità di vapore scaricate nell’atmosfera dai vulcani si condensano, dando il via a secoli di piogge torrenziali.

Questa incessante ricaduta di acqua liquida ha contribuito lentamente a riempire i bacini, ma studi approfonditi hanno scoperto che solo una percentuale minoritaria dell’acqua degli oceani è conseguenza di queste piogge. La maggior parte infatti è di chiara origine extraterrestre, portata da milioni di asteroidi caduti sul nostro pianeta e, forse, anche dalle comete.

Quest’ultime sono composte quasi interamente di ghiaccio d’acqua, rocce e polveri sono presenti in piccola percentuale, per cui verrebbe spontaneo pensare che abbiano avuto un ruolo primario nel portare acqua sul nostro pianeta. Ma le analisi condotte su numerose di loro sembrano raccontare una storia diversa.
L’acqua ghiacciata che posseggono non assomiglia a quella degli oceani. L’origine dell’acqua si può desumere dal rapporto deuterio/idrogeno, quello delle comete è nettamente diverso dall’acqua terrestre, che è meno ricca d’isotopi di deuterio e per questo più simile a quella degli asteroidi.
Il deuterio si forma più facilmente con il freddo e siccome le comete in genere vengono da luoghi remoti del Sistema Solare, ne contengono una quantità superiore a quella di corpi simili più vicini al Sole.

Esistono però gruppi di comete, come la cosiddetta ‘famiglia di comete gioviane’, che in origine si trovavano lontanissimi dal Sole ma oggi hanno orbite più brevi, tipicamente non si estendono oltre quella di Saturno. Avendo passato molto tempo vicino al Sole, dovrebbero avere meno deuterio delle comete di ‘lungo periodo’, che tornano periodicamente nella nube di Oort.

Una di queste è la cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko.
Questo corpo è stato visitato nel 2014 dalla missione Rosetta, una sonda lanciata dall’Esa che vanta un significativo contribuito del nostro Paese, con il coinvolgimento dell’Agenzia Spaziale Italiana, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, di alcuni atenei (Napoli Parthenope, Politecnico di Milano e Padova) e dell’industria (Leonardo e Telespazio).

Le analisi dell’acqua di 67/P hanno rivelato che, pur compiendo un’orbita breve, contiene comunque moltissimo deuterio, anzi ce n’è una quantità sorprendente, mai riscontrata prima in qualsiasi altra cometa.
Questi valori altissimi confermerebbero la quasi esclusione delle comete dal processo di formazione degli oceani della Terra, i metodi di analisi applicati all’epoca, però, oggi non convincono la scienziata Kathleen E. Mandt e il suo gruppo di lavoro. Il perché lo spiegano nella ricerca appena pubblicata su Science Advances.
Secondo il team di studiosi, infatti, le quantità alte di deuterio rilevate sono falsate dalla vicinanza del nucleo cometario rispetto al punto in cui sono stati acquisiti i campioni. Mediante il calcolo statistico avanzato, il team ha rivisto ben 16.000 misurazioni fatte da Rosetta, scoprendo che la polvere dispersa dalla cometa aveva alterato i valori e che il punto in cui si prendono i campioni può comportare una differenza enorme nei risultati.
Si è compreso che la concentrazione di deuterio della chioma e la quantità di polvere accumulata intorno alla sonda Rosetta sono in relazione. La polvere ha caratteristiche fisiche tali che finisce per interagire,  compromettendo la genuinità dei dati. A quella distanza si ottiene una rappresentazione falsata sulla composizione reale del corpo della cometa, incluso il rapporto tra la quantità di deuterio e quella d’idrogeno.

Le rilevazioni più attendibili sono quindi quelle prese lontano dal nucleo, circa 120 chilometri dalla coda, dove la concentrazione di polvere è bassissima e la sua interferenza prossima a allo zero. I valori riscontrati a quella distanza sono profondamente diversi e mostrano un rapporto deuterio/idrogeno simile a quello dell’acqua terrestre.
Secondo le conclusioni di questa ricerca, l’ipotesi diffusa che quasi escludeva le comete nella formazione degli oceani terrestri andrebbe profondamente riconsiderata, leggendo correttamente tutte le misurazioni del rapporto deuterio/idrogeno che abbiamo raccolto dalle comete.
Con i nuovi metodi il quadro che ne uscirebbe potrebbe essere completamente diverso, anche l’opposto di ciò che abbiamo pensato finora.

 

Immagine: la cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko ripresa dalla sonda Esa ‘Rosetta’ nel 2015
Crediti: NavCamEsa/Rosetta/Navcam