Si chiamano ‘Archea’ o ‘archeobatteri’ e sono tra le più antiche forme di vita apparse sulla Terra, in grado di vivere in condizioni estreme. Loro esemplari sono stati trovati nelle sorgenti termali con temperature oltre i 100 gradi centrigradi, in acque con altissime concentrazioni saline e persino sul fondo di paludi e acquitrini, dove riescono a proliferare malgrado la totale assenza di ossigeno.
Questa grande adattabilità e resistenza potrebbero farli sopravvivere anche in ambienti extraterrestri, come ad esempio Marte?
E’ quello che i cinesi stanno cercando di capire studiando questi microrganismi direttamente nello Spazio.
Ad aprile scorso, sulla stazione spaziale cinese ‘Tiangong 3‘ è arrivato un carico di archeobatteri ‘metanogeni’, cioè in grado di produrre metano usando idrogeno e anidride carbonica, da sottoporre a una serie di esperimenti che li metterà a dura prova.
I tre taikonauti Ye Guangfu, Li Cong e Li Guangsu sono al lavoro per capire se questi batteri unicellulari possono resistere in ambienti flagellati da un costante bombardamento di radiazioni, come ad esempio avviene sulla superficie di Marte. Il Pianeta Rosso infatti non ha un campo magnetico protettivo globale che può defletterle e neanche un’atmosfera abbastanza densa per filtrarle. Allo stesso tempo, sono presenti tracce di metano la cui origine è ancora sconosciuta.
Il metano su Marte è stato trovato in più occasioni, a partire dal 2012 dal rover ‘Curiosity’ che ha individuato tracce in diverse zone del cratere Gale (che si ritiene abbia ospitato, più di tre miliardi di anni fa, un enorme bacino acquifero). La sua presenza non scaturisce esclusivamente da processi biologici, si può formare anche in seguito all’interazione chimica di rocce, acqua e calore. Secondo la quasi totalità della comunità scientifica è infatti proprio questa l’origine dell’esistenza del metano marziano. Ma il dibattito sulla sua possibile origine biologica è tutt’altro che accantonato. Resta infatti ancora aperta una debole ma motivata possibilità che il metano sia prodotto, almeno in parte, da processi metabolici. Questo perché esistono numerosi indizi e sospetti che forme di vita batteriche possano essere esistite su altri corpi celesti del Sistema Solare e che ce ne siano anche ora in luoghi dove sono presenti condizioni ambientali favorevoli, come Marte, la luna di Saturno Encelado o quella di Giove Europa.
Gli esperimenti sui batteri in corso nella Tiangong non sono i primi di questo genere. Una decina di anni fa degli archeobatteri ‘alofili’ (adatti a vivere in ambienti con salinità estrema) vennero sistemati nel comparto ‘Expose’ dell’Esa, montato all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale e quindi in balìa di micidiali radiazioni ultraviolette, per comprenderne resistenza e adattabilità . I risultati furono sorprendenti e la scelta dei cinesi di utilizzare proprio gli archeobatteri trae origine anche da quelle scoperte.
Per capire veramente se il metano di Marte possa essere stato prodotto parzialmente da organismi viventi, in passato o persino nel presente, la cosa migliore da fare sarebbe portare questi batteri dotati di resistenza estrema direttamente sul pianeta Rosso, studiarli lì. Attualmente questa idea è purtroppo impraticabile, in quanto sarebbe un’operazione complicatissima da realizzare, oltre che particolarmente costosa.
Gli esperimenti nella Tiangong, ad ogni modo, si avvicinano moltissimo alla ricostruzione di un ambiente marziano, gli archea vengono tenuti in centrifughe e le esposizioni agli agenti letali sono controllate.
Come ha spiegato Liu Zhu, professore del Dipartimento delle Scienze del Sistema Terra all’università di Tsinghua, gli esperimenti useranno le comuni radiazioni che riescono ad attraversare le paratie della stazione spaziale, gli effetti della microgravità e le variazioni di temperatura.
L’obiettivo non è solo quello di scoprire fino a che punto questo tipo di archeobatteri può resistere, ma se essi riescono a produrre metano anche in quelle condizioni.
Più in generale, questi esperimenti hanno la finalità di comprendere il più possibile quali sono gli ambienti più adatti, nel Sistema Solare ma anche tra gli asteroidi e gli esopianeti, su cui potremmo trovare vita extraterrestre, quale tipo di organismi dovremmo aspettarci di incontrare, in che forma e con che caratteristiche. Elementi per capire dove esattamente dovrebbero proliferare.
I risultati stringerebbero il campo a ricerche più mirate, espandendo le nostre aspettative e probabilità di successo. Ad esempio, prendendo in considerazione condizioni e luoghi alieni che finora ritenevamo impensabili per il fiorire della vita.
Immagine: Stazione spaziale cinese Tiangong 3 fotografata da una navetta Shenzou
Crediti: China Manned Space