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Uno studio rivela nuove caratteristiche della nostra Stella Polare, l’astro ‘fisso’ che, da sempre, i naviganti dell’emisfero boreale impiegano per orientarsi e che troviamo sulla punta del manico del Piccolo Carro (costellazione dell’Orsa Minore).

In realtà, ciò che segna il Polo Nord, è un sistema stellare triplo, Polaris.

Polaris system NASA - ESA, G. Bacon

Con l’obiettivo di definire l’orbita della compagna più vicina alla stella principale, un gruppo di astronomi del Centro di Astrofisica Harvard & Smithsonian ha utilizzato l’interferometro Chara (Center for High Angular Resolution Astronomy) in California, costituito da sei telescopi.

«La breve distanza e il grande contrasto di luminosità tra le due stelle hanno reso estremamente difficile l’osservazione durante il loro avvicinamento» ha detto Nancy Evans, autrice della ricerca.

I ricercatori hanno tracciato con successo l’orbita di Polaris Ab e hanno anche osservato la sua superficie e misurato i cambiamenti nelle dimensioni di Polaris A. Essa è infatti una stella variabile pulsante, che rientra nella categoria delle Cefeidi. La caratteristica di queste stelle è che si contraggono ed espandono variando il diametro, la temperatura e quindi la luminosità. Polaris A varia le sue dimensioni ogni 3,97 giorni.

Nella nuova ricerca, il moto orbitale ha rivelato che la stella ha una massa cinque volte quella del Sole, mentre le immagini hanno mostrato che ha un diametro 46 volte più grande del Sole.Polaris macchie

La sorpresa, tuttavia, è stata osservare Polaris da vicino. Grazie alla fotocamera Mirc-X, che ha la capacità di catturare i dettagli delle superfici stellari, per la prima volta gli astronomi hanno avuto la possibilità di vedere come appare la superficie di una Cefeide. «Le immagini di Chara hanno rivelato grandi macchie luminose e scure, sulla superficie di Polaris, che cambiano nel tempo» ha detto Gail Schaefer, direttrice del Chara. La presenza di macchie e la rotazione della stella potrebbero essere collegate a una variazione di 120 giorni nella velocità misurata.

Comprendere meglio il meccanismo che genera le macchie sulla superficie di Polaris è il prossimo obiettivo dei ricercatori.

Lo studio è stato effettuato grazie al programma ad accesso libero presso il Chara, dove gli astronomi di tutto il mondo possono richiedere del tempo per osservare il cielo attraverso il National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory (NoirLab).

 

immagine in evidenza: Punta Molentis in Sardegna – Crediti: Matteo Scalas

prima immagine nel testo: illustrazione del sistema Polaris – Crediti: Nasa, Esa, G. Bacon

seconda immagine nel testo: aspetto delle macchie su Polaris A (con colori non reali) – Crediti: Chara (Gsu)