Dai dati della missione Messenger della Nasa emerge la presenza di particelle energetiche nella coda magnetica del pianeta. Lo studio pubblicato su Physics of Plasmas
Elettroni energetici inaspettati nella coda magnetica del pianeta più vicino al Sole: è la sorpresa in cui si è imbattuto un gruppo di fisici teoretici impegnati ad analizzare i dati sul campo magnetico di Mercurio raccolti dalla sonda Messenger della Nasa. Il motivo per cui tali particelle sono presenti nella coda del corpo celeste ha suscitato numerosi interrogativi negli addetti ai lavori e un nuovo studio, condotto da un team del Max Planck Institute for Solar System Research di Gottinga (Germania), ha cercato di dare una risposta. La ricerca è stata presentata nell’articolo “Electron acceleration by turbulent plasmoid reconnection”, pubblicato di recente su Physics of Plasmas, rivista mensile dell’American Institute of Physics.
Le code magnetiche si formano a seguito dell’influenza esercitata dalle intense radiazioni del vento solare sul campo magnetico di un pianeta e si presentano sul suo versante in ombra. Il campo magnetico di Mercurio è cento volte più debole rispetto a quello della Terra, mentre nella sua coda le tempeste magnetiche sono più vaste e veloci in paragone a quelle osservate sul nostro pianeta. Gli studiosi, quindi, sono rimasti meravigliati nel riscontrare i segni della presenza di elettroni energetici nella coda di Mercurio e hanno cercato di chiarire la situazione ricorrendo a simulazioni magnetoidrodinamiche.
Un possibile responsabile di tale fenomeno è il processo di riconnessione magnetica, che si verifica quando in un campo magnetico cambia la disposizione delle linee con il conseguente rilascio di energia cinetica e termica. Le simulazioni effettuate hanno messo in rilievo che durante la riconnessione si generano dei plasmoidi, cui è connessa l’accelerazione di elettroni energetici; i risultati della prova sono coerenti con le misurazioni effettuate dalla sonda Messenger nella coda di Mercurio.
Sono state successivamente condotte ulteriori simulazioni per verificare il ruolo della turbolenza dei plasmoidi nello scatenare gli elettroni, dando ai vari parametri i valori per riprodurre fedelmente le condizioni della coda. I risultati hanno mostrato che, in tale contesto, la riconnessione dei plasmoidi in uno stato di turbolenza può essere all’origini dell’accelerazione degli elettroni.
La sonda Messenger (Mercury Surface, Space Environment, Geochemistry and Ranging) della Nasa, lanciata il 3 agosto 2004, ha raggiunto Mercurio il 18 marzo 2011 e ha concluso la sua vita operativa il 30 aprile 2015, schiantandosi sulla superficie del pianeta; per 4 anni ha orbitato intorno al corpo celeste, raccogliendo una notevole quantità di dati utili anche per approfondire le dinamiche di formazione ed evoluzione del Sistema Solare interno. In precedenza solo un’altra sonda aveva fatto visita a Mercurio: si tratta di Mariner 10 della Nasa, che nel 1974 e nel 1975 aveva effettuato due fly-by, individuando delle formazioni scoscese, la cui esistenza è stata poi confermata da Messenger.
Per il primo pianeta del Sistema Solare non c’è due senza tre. Dopo Mariner 10 e Messenger, un altro manufatto umano dedicherà le sue attenzioni a questo corpo celeste: si tratta della missione Bepi Colombo, che vede il nostro Paese, tramite l’Agenzia Spaziale Italiana, coinvolto con un contributo scientifico di alto livello. Il lancio è previsto nell’autunno del 2018.