Sette veicoli spaziali entrati a contatto con le particelle solari possono raccontare molto sul fenomeno dello space weather nella prospettiva di tutelare dai rischi ad esso connessi le future missioni.
Grazie a uno studio di fattibilità, Esa ha analizzato la memoria delle ‘impronte digitali’ raccolte nel corso di anni, a volte decenni, nello spazio da sonde, pannelli solari e dati ingegneristici.
Tra le tracce più significative, vi sono appunto quelle dei fenomeni meteorologici più pericolosi per l’esplorazione umana e robotica attuale e futura: gli eventi di particelle energetiche solari (Sep).
E’ come se dopo una tempesta di pioggia e grandine si andasse ad analizzare la composizione dei grani di grandine, per comprendere la dinamica che ha scatenato l’evento estremo. Allo stesso modo, l’analisi delle particelle emesse dal Sole – per lo più protoni ma anche particelle più grandi come nuclei di elio (con due protoni e due neutroni) e ‘ioni Hze’ (nuclei ad alta energia di raggi cosmici galattici con carica elettrica +2) – raccontano la scienza del Sole e il suo impatto nella meteorologia spaziale, molto diversa di quella terrestre, oltre che pericolosa per strumenti e telecomunicazioni da e per lo spazio.
Queste particelle sono costantemente emesse dal Sole in tutte le direzioni: si parla, quindi, di ‘vento solare’ che a volte riceve un’enorme spinta quando la nostra stella erutta con enormi brillamenti ed espulsioni di massa coronale.
La tempesta solare produce enormi ondate di particelle cariche, spazzate via da queste eruzioni e accelerate quasi alla velocità della luce. Possono penetrare il campo magnetico terrestre e rappresentare un rischio significativo di radiazioni per i veicoli spaziali e gli astronauti.
Comprendere la distribuzione e il movimento di queste particelle energetiche in tutto il Sistema Solare è importante, ma difficile, in quanto richiede strumenti sparsi nello spazio per rilevarle e capire come viaggiano.
In generale, la ricerca spaziale evoca il detto proverbiale ‘del maiale, non si butta nulla’ e i dati provenienti dai sensori ingegneristici a bordo di Rosetta, ExoMars Tgo, Mars Express, Venus Express, Solar Orbiter, BepiColombo e Gaia sono stati raccolti e analizzati.
Si tratta di tracce di rilevamenti simultanei di eventi di particelle energetiche solari in diverse aree del Sistema Solare. Lo studio mostra che queste missioni forniscono una buona rete di individuazione di tali particelle anche in luoghi in cui non sono disponibili osservazioni scientifiche.
Ma questi dati come possono aver conservato la memoria di quanto è accaduto durante una missione, anche a distanza di anni?
Le informazioni provengono da rilevatori di pulizia che, posti in diverse posizioni di una sonda, monitorano la salute della missione e dei suoi carichi utili (strumenti scientifici) in generale. I contatori di memoria Edac (Error Detection and Correction) sono tra questi e il loro ruolo è quello di proteggere le memorie in un computer spaziale da errori causati da particelle energetiche che ne colpiscono i chip.
Gli eventi di particelle solari possono essere dedotti da un improvviso aumento degli errori contati, nell’ordine delle decine al giorno, registrati dai contatori Edac. Ad esempio, un evento di particelle solari il 7 marzo 2012 è mostrato nei dati come uno dei più grandi ad essere visto su Marte e Venere, ‘percepito’ da Mars Express e Venus Express. Le unità di riferimento stellari (star tracker) di Venus Express, che aiutano a orientare il veicolo spaziale, sono state persino accecate per cinque giorni dall’evento.
Anche dopo anni dalla fine di una missione è possibile fare scienza. Per questa ragione, Esa ha reso pubblico e disponibile il data base sul suo Planetary Science Archive che contiene migliaia di parametri di pulizia e di terabyte di dati disponibili per nuove attività di ricerca.
In apertura: poster della missione Rosetta che mostra il dispiegamento del lander Philae sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko. Ringraziamenti: l’immagine della cometa è stata scattata con la camera di navigazione su Rosetta (Esa/Rosetta/NavCam). Crediti: Esa/Atg medialab; Comet image: Esa/Rosetta/Navcam