Sono grandi quando una scatola di scarpe, ma sono in grado di garantire prestazioni di alto livello e di fornire un’ampia gamma di servizi: sono i satelliti miniaturizzati definiti cubesat, protagonisti di una ricerca riguardante la reazione degli alberi all’innalzamento delle temperature dovuto alla crisi climatica.
Lo studio, dal titolo “Canopy composition drives variability in urban growing season length more than the heat island effect”, è stato pubblicato su Science of the Total Environment, rivista internazionale dedicata alle scienze ambientali.
L’indagine è stata condotta da un team di scienziati statunitensi, coordinato dal Dipartimento di Scienze Ambientali dell’American University di Washington-Dc, e si è basata sia su rilevazioni in situ che appunto su dati da cubesat. Tali dati sono stati ritenuti più idonei per condurre misurazioni precise sulle singole piante rispetto ad acquisizioni su vasta scala effettuate da altri satelliti.
I ricercatori hanno analizzato la situazione di Washington, ma ritengono che i dati da cubesat e la metodologia impiegata per lo studio possano essere applicati anche alla vegetazione di altre regioni/continenti e in svariati contesti, sia urbani che rurali.
Gli studiosi sono partiti dall’analisi delle immagini satellitari di oltre 10mila alberi cittadini, raccolte nel periodo 2018-2020; sono state prese in considerazione 29 specie diverse tra latifoglie e caducifoglie con l’intento di comprendere se il calore urbano potesse incidere sul loro ciclo vitale nelle varie stagioni. Infatti, l’ambiente cittadino è particolarmente sensibile al cambiamento climatico che può produrre conseguenze di vario genere tra cui il fenomeno delle ‘isole di calore’. L’effetto ‘isola’ si verifica quando superfici impermeabili intrappolano il calore e poi lo irraggiano, facendo aumentare le temperature anche di 2/3 gradi rispetto alle zone rurali.
Analizzando centinaia di immagini, raccolte quasi ogni giorno, gli scienziati hanno monitorato per ogni albero la tempistica del rinverdimento primaverile e della perdita di foglie in autunno. Hanno anche preso in considerazione i dati relativi al luogo in cui si trovano gli alberi, come la temperatura dell’aria, per valutare un’eventuale influenza sui cicli stagionali.
I risultati dell’indagine mostrano che il calore potrebbe non essere un fattore determinante del rinverdimento primaverile precoce degli alberi a differenza di quanto ritenuto in precedenti studi. Il gruppo di lavoro ritiene che comprendere il comportamento delle specie vegetali nelle aree urbane e in quelle rurali sia di fondamentale importanza per creare modelli informatici migliori in questo specifico settore di studi.
«Se vogliamo sapere se una determinata specie o pianta sta modificando le fasi del suo ciclo vitale – ha dichiarato Michael Alonzo, docente di Scienze Ambientali presso l’American University e primo autore dello studio – dobbiamo fare un lavoro migliore, concentrandoci sui singoli alberi e sulla loro interazione con l’ambiente circostante».
In alto: confronto di un’immagine a risoluzione moderata con un’immagine che utilizza la tecnologia cubesat, impiegata nello studio (Crediti: per gentile concessione di M. Alonzo)