Pianeti giganti come Giove possono essere ospitati da stelle poco massicce, ossia con masse anche più piccole della metà di quella del nostro Sole. È il sorprendente riscontro di una ricerca condotta da ricercatori dell’University College London (Ucl) e dell’Università di Warwick e che potrebbe sconvolgere i nostri modelli con cui spieghiamo la nascita dei giganti gassosi.

Fino a oggi i planetologi hanno pensato che i pianeti giganti gassosi, come il nostro Giove, si formassero secondo la teoria dell’accrescimento del nucleo: questo modello prevede che lo strato esterno di gas venga attirato dal nucleo solido planetario dopo aver raggiunto una massa di circa 15-20 volte quella della Terra. Questa teoria implica, tuttavia, che i giganti gassosi non si possano formare attorno a piccole stelle in quanto i loro dischi protoplanetari, ossia l’anello di gas e polvere che le circonda, sono caratterizzati da una bassa massa, rendendo così impossibile l’accrescimento fino a nuclei così massicci.

Esaminando oltre 91mila piccoli astri osservati dal satellite Tess di Nasa, i ricercatori del nuovo studio, accettato per la pubblicazione su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, hanno invece individuato 15 potenziali pianeti giganti gassosi che orbitano attorno a stelle poco massicce.
Rilevati grazie al metodo del transito, ossia riscontrando una diminuzione di luminosità della stella madre a causa del passaggio del pianeta, 5 di questi 15 candidati sono stati in seguito confermati con metodi indipendenti come giganti gassosi. Tra questi cinque, un pianeta gigante orbita attorno a una stella con massa 5 volte inferiore a quella del nostro Sole.
Mentre solo un candidato su 15 è stato finora scartato, altri 9 potenziali giganti gassosi sono ancora in fase di valutazione.

«L’individuazione di giganti gassosi in orbita attorno a stelle con una massa pari al 20% di quella del Sole rappresenta un conflitto con la teoria attuale», afferma Ed Bryant, autore principale dello studio.

Queste osservazioni implicano, dunque, che vengano rivisti i nostri modelli su come i giganti gassosi si formano. Una possibile teoria alternativa a quella dell’accrescimento del nucleo è, per esempio, la teoria dell’instabilità gravitazionale: essa prevede che un disco protoplanetario possa frammentarsi in ammassi di polvere e gas grandi come un pianeta, permettendo così anche a stelle poco massicce di ospitare giganti gassosi. Tuttavia, la frammentazione del disco di una stella poco massiccia rimane un evento molto improbabile.

Secondo i ricercatori, dunque, il conflitto tra le loro osservazioni e la teoria dell’accrescimento potrebbe essere spiegato da un errore nel modo con cui finora abbiamo calcolato la massa dei dischi protoplanetari. Questi, infatti, hanno una massa maggiore all’inizio della vita di una stella, quando sono, tuttavia, molto difficili da osservare, essendo incorporati in nubi di polvere. Anche nel caso di stelle poco massicce potrebbero esserci, nelle prime fasi di vita stellare, dischi sufficientemente massicci per la formazione di pianeti giganti gassosi tramite l’accrescimento del nucleo, pur non avendoli potuti ancora osservare con i nostri telescopi.

«È possibile che non comprendiamo le masse di questi dischi protoplanetari così bene come pensavamo – afferma il co-autore dello studio Dan Bayliss –Nuovi potenti strumenti come il telescopio spaziale James Webb saranno in grado di studiare le proprietà di questi dischi in modo più dettagliato».

Immagine in evidenza: illustrazione artistica dell’alba sul pianeta Ngts-1b, un gigante gassoso precedentemente scoperto in orbita attorno a una stella di bassa massa. Crediti: Università di Warwick/Mark Garlick.