Spesso scriviamo dell’universo ai suoi albori, nelle prime centinaia di milioni di anni immediatamente dopo il Big Bang, quando la materia densa e opaca di cui era fatto iniziò a divenire trasparente, ponendo fine alla cosiddetta “età oscura”. Ma come possiamo sapere com’era l’universo in quell’epoca lontana? Uno dei metodi più usati è l’osservazione delle righe spettrali dell’idrogeno, in particolare dell’idrogeno neutro. Ma non è il solo: analizzando i dati raccolti con lo spettrografo X-Shooter montato sul Very Large Telescope (Vlt) dell’Eso, un team guidato da astrofisici australiani – team del quale fanno parte anche ricercatrici e ricercatori dell’Inaf di Trieste – è ora riuscito ad aggiungere al puzzle della storia dell’universo un importante tassello, misurando la densità del carbonio nel gas attorno alle galassie primordiali. Lo studio è stato pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
«Abbiamo scoperto che, circa 13 miliardi di anni fa, la frazione di carbonio nel gas caldo è aumentata rapidamente. Potrebbe trattarsi di un fenomeno legato al riscaldamento su larga scala del gas associato alla cosiddetta “epoca della reionizzazione”», dice la prima autrice dello studio, Rebecca Davies, ricercatrice del centro d’eccellenza Astro3D presso la Swinburne University of Technology (Australia), riferendosi appunto alla fine dell’età oscura.
Non parliamo di un aumento lieve o graduale: la crescita sarebbe stata repentina, una vera e propria impennata. La quantità di carbonio caldo risulta infatti aumentata di cinque volte in un intervallo di appena 300 milioni di anni – su scala astronomica un battito di ciglia, notano i ricercatori. Uno scenario già preso in considerazione da studi precedenti, questo dell’aumento del carbonio, ma ora per la prima volta confermato dall’osservazione di un campione di quasar molto lontani sufficientemente grande da consentire misure statisticamente significative del tasso di crescita.
«È esattamente ciò che abbiamo fatto. E di questa rapida evoluzione proponiamo due potenziali interpretazioni», aggiunge Davies. La prima spiegazione è presto detta: il carbonio attorno alle galassie è aumentato semplicemente perché è aumentato il carbonio disponibile nell’universo. «Nel periodo in cui si formano le prime stelle e le prime galassie, si formano anche molti elementi pesanti: prima delle stelle, di carbonio proprio non ce n’era», ricorda infatti la ricercatrice. «Dunque una possibile spiegazione di questa rapida crescita è che stiamo osservando i prodotti delle prime generazioni di stelle».
Le cose potrebbero però essere un po’ più complesse. Dallo studio è infatti emerso che, nello stesso periodo in cui si osserva l’aumento della quantità di carbonio caldo, quella di carbonio freddo diminuisce. Ciò suggerisce che potrebbero esserci due diverse fasi nell’evoluzione del carbonio, ipotizzano i ricercatori: un rapido aumento durante la reionizzazione – causata probabilmente dall’energia emessa dalle prime stelle massicce, all’origine del riscaldamento del gas – seguito da un appiattimento.
«La ricerca guidata da Davies si è avvalsa di un campione di dati eccezionale, ottenuto nel corso di 250 ore d’osservazioni con il Very Large Telescope dello European Southern Observatory, in Cile. Si tratta della più grande quantità di tempo osservativo mai assegnato a un singolo progetto realizzato con lo spettrografo X-Shooter», ricorda una delle coautrici dello studio, Valentina D’Odorico dell’Istituto nazionale di astrofisica, principal investigator del programma osservativo. «Grazie al telescopio da otto metri del Vlt abbiamo potuto osservare alcuni fra i quasar più distanti, che come potenti torce illuminano le galassie lungo il percorso dall’universo primordiale fino a noi».
Un viaggio durato 13 miliardi di anni, quello compiuto dalla luce dei quasar osservati da X-Shooter, lungo il quale alcuni dei fotoni vengono assorbiti, imprimendo nello spettro una sorta di “codice a barre” che può essere analizzato per determinare la composizione chimica e la temperatura del gas attorno alle galassie, fornendo così un quadro storico dello sviluppo dell’universo.
«Questi “codici a barre” vengono catturati dai rivelatori dello spettrografo X-Shooter del Vlt, uno strumento in grado di separare la luce delle galassie in diverse lunghezze d’onda, come se passasse attraverso un prisma, permettendoci così di leggere – appunto – i codici a barre e di misurare le proprietà di ciascuna galassia», spiega Davies. E il numero di “codici a barre” d’antiche galassie raggiunto in questo studio non ha precedenti. «I quasar per i quali disponiamo di dati d’alta qualità sono saliti da 12 a 42», sottolinea D’Odorico, «e ogni spettro di quasar contiene decine di questi codici a barre, consentendoci finalmente una misura dettagliata e accurata dell’evoluzione della densità di carbonio».
«I nostri risultati sono coerenti con studi recenti che dimostrano come la quantità di idrogeno neutro nello spazio intergalattico, in quello stesso periodo, diminuisca rapidamente», aggiunge Davies. «Ciò apre la strada a future indagini con lo Square Kilometre Array (Ska), che mira a rilevare direttamente l’emissione di idrogeno neutro durante questa fase chiave della storia dell’universo».
Un risultato, quello ottenuto da Davies e colleghi, fondamentale per comprendere l’evoluzione degli elementi, dal Big Bang ai giorni nostri. «Si tratta di un obiettivo chiave: come sono proliferati nell’universo gli elementi costitutivi della vita, in questo caso il carbonio?», conclude Emma Ryan-Weber, chief investigator di Astro3D e seconda autrice dello studio. «È incredibile pensare che il codice a barre di atomi di carbonio risalenti a 13 miliardi di anni fa sia stato impresso sui fotoni in un’epoca in cui la Terra non esisteva nemmeno. Quei fotoni hanno viaggiato attraverso il cosmo fino al Vlt, e sono stati infine usati per tracciare un quadro dell’evoluzione dell’universo».
In alto: infografica della variazione di densità del carbonio freddo e caldo. Crediti: Astro3D