I ghiacciai alpini stanno scomparendo a causa del cambiamento climatico. Il processo di deglaciazione delle nostre montagne, costante negli ultimi decenni, è ormai inarrestabile e si è mostrato con tutta la sua forza nel 2022, anno drammatico per il surriscaldamento globale. Un inverno particolarmente secco e un’estate afflitta da temperature elevate e ondate di calore hanno avuto un impatto rilevante su gran parte dell’Europa così come sullo stato di salute dei ghiacciai alpini. I giganti bianchi rappresentano, infatti, veri e propri termometri del cambiamento climatico.

«I ghiacciai riescono a raccontarci le conseguenze del cambiamento climatico, andando ad analizzare la sovrastruttura del ghiaccio quindi la superficie e il volume; ma anche le cause, in quanto al loro interno custodiscono le informazioni del clima – afferma Fabrizio De Blasi, ricercatore dell’Istituto di Scienze Polari del Cnr – Un ghiacciaio è come un libro formato da diversi strati: ciascuno di essi rappresenta una specifica nevicata in un determinato momento storico, intrappolando così le informazioni climatiche manifestatesi durante la nevicata».

Il monitoraggio dei ghiacciai offre dunque una finestra sull’evoluzione del clima. Tuttavia, il loro ritiro ad altitudini maggiori e la frammentazione in corpi più piccoli rendono i rilevamenti tradizionali in situ sempre più complicati e meno efficienti, oltre che rischiosi. Diventa così fondamentale il supporto delle osservazioni satellitari.

«Per capire come evolve un ghiacciaio dobbiamo monitorare le sue diverse parti. Tramite i satelliti possiamo creare delle mappe a falsi colori, mettendo così in evidenza le zone che sono coperte dalla neve stagionale, da quella che si trasformando in ghiaccio e il ghiaccio vero e proprio. Tramite i satelliti posso seguire l’evoluzione della neve stagionale.  Infine possiamo ricostruire anche i modelli digitali del terreno, tramite satelliti ottici e Sar, attraverso le mappe di elevazione. Confrontando diverse mappe nel tempo possiamo avere le variazioni altimetriche delle superfici e quindi da qui ottenere il nuovo volume del ghiacciaio, dunque informazioni tridimensionali», continua Fabrizio De Blasi.

Integrazione è dunque la nuova parola d’ordine, con un monitoraggio dei ghiacciai basato sempre più su numerosi satelliti e su dati ottenuti da differenti tecniche di osservazione.

«Fino a qualche anno fa utilizzavamo i satelliti LandSat. Negli ultimi anni ci siamo affidati molto anche ai dati offerti dai satelliti Sentinel del programma europeo Copernicus. Per quanto riguarda l’Italia, ci stiamo avvicinando con molto interesse alle costellazioni CosmoSkyMed e stiamo seguendo l’evoluzione di questa nuova costellazione di costellazioni, Iride. Riuscire a integrare informazioni ottiche, radar e multispettrali ci permette, infatti, di indagare nel dettaglio e con risoluzione sempre più elevata i ghiacciai», afferma De Blasi .

A partire dalla collaborazione al progetto Polar Space Task Group dell’Organizzazione meteorologica mondiale, Asi vanta ormai un’esperienza quasi decennale nel monitoraggio dallo spazio dei ghiacciai, grazie soprattutto alla costellazione Cosmo Skymed e ai suoi satelliti dotati di radar ad apertura sintetica.

«Nel contesto dell’open call Cosmo Skymed, abbiamo avviato nel 2020 un progetto coordinato da Unibo e in collaborazione con la provincia autonoma di Bolzano sulla caratterizzazione dei ghiacciai rocciosi alpini dell’Alto Adige, effettuata mediante analisi interferometriche condotte integrando il dato in banda X di Cosmo Skymed con i dati in banda C dei satelliti Sentinel del programma europeo Copernicus – afferma Maria Libera Battagliere, Responsabile dell’Ufficio Progetti Pilota, dell’Unità Downstream e Servizi Applicativi di Asi – Il contributo della missione Asi Cosmo Skymed ha permesso di individuare un numero maggiore di ghiacciai alpini attivi rispetto a quanto avrebbero fatto da soli i satelliti Sentinel. Una mappatura completa che permette strategie di intervento e ulteriore monitoraggio».

Nelle immagini radar di Cosmo Skymed la neve e il ghiaccio appaiono in modo completamente diverso. Un monitoraggio dettagliato dei ghiacciai alpini permesso anche dai sensori multispettrali della missione Prisma di Asi.

«Il sensore multispettrale di Prisma permette di monitorare e vedere caratteristiche dei ghiacciai che non possono essere viste né dai sensori di tipo Sar né con quelli multispettrali a banda larga – afferma Giorgio Antonio Licciardi, dell’Unità Downstream e Servizi Applicativi di Asi – È possibile riscontrare la presenza di materiali inquinanti come possono essere micro alghe, o depositi polverosi. Nell’ambito del programma Prisma Scienza, il progetto Eurac portato avanti dall’istituto di Bolzano per il monitoraggio alpino si è occupato di indagare i ghiacciai alpini distinguendo i tre stati dell’acqua, solido, liquido e gassoso attraverso il sensore iperspettrale, oltre a individuare i materiali inquinanti. Tra gli obiettivi del progetto vi era anche quello di quantificare il contributo dei contaminanti allo scioglimento dei ghiacciai». 

Dettaglio, precisione e integrazione di diverse osservazioni: punti di forza dell’innovativo sguardo dallo spazio sui ghiacciai che non potrà però cambiare il loro destino sotto gli effetti del cambiamento climatico.

«Gli ultimi studi di modellazione sono stati fatti in funzione degli scenari Ipcc legati ai diversi pattern di sviluppo economico e di emissioni di CO2. Anche nello scenario migliore perderemo circa il 50% dell’attuale superficie dei ghiacciai alpini entro metà secolo. Nella peggiore delle ipotesi, in cui continueremo a utilizzare combustibili fossili potremmo perdere entro fine secolo oltre il 90% dei ghiacciai. Il monitoraggio è sempre più fondamentale quindi anche per costruire al meglio le modellazioni future», conclude il ricercatore Cnr-Isp Fabrizio De Blasi.

 

Immagine in evidenza: Ubicazione dei ghiacciai italiani dal Catasto dei ghiacciai italiani Crediti: Comitato Glaciologico Italiano