La mappa 3D che il Nancy Grace Roman Space Telescope della Nasa realizzerà per l’universo costituirà il banco di prova per le principali teorie con cui cerchiamo di spiegare l’accelerazione cosmica. Questo è quanto suggerisce uno studio guidato dal California Institute of  Technology (Caltech) recentemente pubblicato su The Astrophysical Journal.

Che l’universo sia in espansione ne abbiamo prova ormai da un secolo, da quando gli astronomi Georges Lemaître e Edwin Hubble hanno osservato che le galassie, con pochissime eccezioni, si allontanano da noi e tra di loro, a velocità diverse a seconda di quanto siano lontane. Un distanziamento cosmologico causato in parte dall’inerzia seguita alla spinta del Big Bang, la gigante esplosione da cui quasi 14 miliardi di anni fa l’universo ha iniziato a evolversi e allargarsi.

Un’espansione che, secondo il modello cosmologico congruente con la Teoria della Relatività Generale formulata da Einstein, dovrebbe rallentare a causa della gravità della materia situata all’interno del cosmo.

Eppure, nel 1998 i fisici Saul Perlmutter, Brian P. Schmidt e Adam Riess hanno scoperto che l’universo sarebbe in realtà in una fase di continua espansione accelerata. Un’inaspettata rivelazione che ha mostrato come la teoria di Einstein sia ben testata su una scala fisica limitata, come quella del nostro sistema solare, ma funzioni meno bene su scale cosmologiche.

Il mistero dell’accelerazione dell’espansione cosmica potrebbe essere quindi risolto modificando la Teoria della Relatività Generale oppure aggiungendo una nuova componente energetica all’universo: l’energia oscura.
Dalle simulazioni effettuate nella recente ricerca, emerge che i panorami tridimensionali, enormi e profondi, che saranno frutto delle future prestazioni del telescopio Roman, forniranno una delle migliori opportunità per verificare quale tra queste due alternative possa rappresentare la strada più adeguata.

«Possiamo aspettarci una nuova fisica in entrambi i casi – se impariamo che l’accelerazione cosmica è causata dall’energia oscura o se scopriamo che dobbiamo modificare la teoria della gravità di Einstein — afferma Yun Wang, autore principale dello studio — Roman testerà entrambe le teorie allo stesso tempo».

Per farlo la missione Nasa sfrutterà la spettroscopia, ossia lo studio delle diverse informazioni sui colori della luce. L’espansione dell’universo causa, infatti, lo spostamento delle onde luminose generate dalle stelle e dalle galassie lontane in lunghezze d’onda più lunghe e più rosse. Il fenomeno prende il nome di redshift, lo stesso sfruttato da Lemaître e Hubble un secolo fa: analizzandone lo spettro luminoso, ossia la luce scomposta nei suoi singoli colori, più questo risulta spostato sul rosso  più l’oggetto cosmico da cui proviene l’onda luminosa è lontano.

Dall’indagine spettroscopica di Roman si otterrà una mappa 3D dell’universo tramite cui gli scienziati potranno misurare le distanze e le posizioni precise per milioni di galassie in un modo senza precedenti.
Roman viaggerà nel tempo e nello spazio del cosmo: coprirà circa il 5% del cielo in poco più di sette mesi rivelando le precise distanze per 10 milioni di galassie di quando l’universo aveva circa 3-6 miliardi di anni. Svelerà inoltre quanto siano distanti 2 milioni di galassie risalenti a un periodo ancora precedente nella storia cosmica.

La struttura cosmologica su larga scala così ottenuta, simile a una rete, permetterà agli astronomi di imparare come la distribuzione delle galassie varia con la distanza, e quindi con il tempo, e ci darà una finestra su quanto velocemente l’universo si è espanso in diverse ere cosmiche.
Non rimane quindi che attendere il 2027, quando l’erede di Hubble e Webb verrà lanciato, per poter iniziare a esplorare la natura dell’accelerazione cosmica e poter così testare la teoria della gravità di Einstein sulla base dell’evoluzione dell’universo.

 

Immagine: sei diverse distribuzioni simulata delle galassie tramite il fenomeno del redshift  Crediti: Nasa’s Goddard Space Flight Center/F. Reddy and Z. Zhai, Y. Wang (IPAC) and A. Benson (Carnegie Observatories)