Le sue particelle formano uno scudo che tutela il nostro pianeta dall’influenza nociva delle radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole e si trovano concentrate nella porzione di stratosfera compresa tra 15 e 35 chilometri di altitudine: si tratta dell’ozono, spesso al centro dell’attenzione per i fenomeni di assottigliamento che ha subito a partire dalla metà degli anni ’70.

Il prezioso gas, le cui molecole sono formate da tre atomi di ossigeno, è salito di nuovo agli onori della cronaca per le conseguenze patite in seguito ai catastrofici incendi che hanno devastato l’Australia nel 2019/2020 ed è al centro di uno studio in pubblicazione su Pnas-Proceedings of the National Academy of Sciences (articolo: “On the stratospheric chemistry of midlatitude wildfire smoke”). L’indagine, basata su dati satellitari, è stata condotta da un team internazionale, coordinato dal Dipartimento di Scienze Terrestri, Atmosferiche e Planetarie del Mit-Massachusetts Institute of Technology.

I disastrosi incendi che hanno colpito l’Australia due anni fa non solo hanno causato danni incommensurabili al territorio e alla fauna, ma hanno anche immesso nell’atmosfera oltre 1 milione di tonnellate di particelle di fumo che si sono spinte fino ad un’altitudine di 35 chilometri: per rendere l’idea dell’ampiezza dell’accaduto, la massa e la diffusione atmosferica del materiale inquinante equivalgono a quelli prodotti da un’eruzione vulcanica.

Analizzando i dati satellitari, i chimici del Mit si sono resi conto che il fumo degli incendi australiani ha scatenato delle reazioni chimiche nella stratosfera che hanno intaccato lo strato di ozono; il loro studio è il primo a stabilire una connessione tra il fumo da incendi boschivi e il deperimento dello schermo protettivo della Terra. Nello specifico, nel marzo 2020 – quando la situazione in Australia stava migliorando – il gruppo di lavoro ha osservato un forte calo del biossido di azoto nella stratosfera: si trattava del primo step di un processo chimico a catena che avrebbe portato all’esaurimento dell’ozono. I ricercatori hanno notato poi che questo calo era direttamente correlato alla quantità di fumo rilasciata nella stratosfera; il fenomeno, secondo la valutazione degli esperti, ha provocato un esaurimento dello strato di ozono pari all’1%.

Il team ha lavorato sui dati relativi al biossido di azoto prodotti da tre differenti satelliti che si erano trovati a sorvolare l’Australia proprio tra il 2019 e il 2020: le informazioni raccolte da ciascun satellite mostravano chiaramente un calo significativo del biossido di azoto. Gli scienziati hanno poi realizzato delle simulazioni in laboratorio – tramite modelli informatici in 3D – per avere una conferma della correlazione tra il fumo e il calo del biossido di azoto. Sono state realizzate diverse prove con questi modelli e l’esito è sempre stato coerente con quanto osservato dai satelliti.

I principali nemici dell’ozono rimangono i clorofluorocarburi (Cfc), un tempo largamente impiegati come refrigeranti nei frigoriferi e come propellenti negli spray, poi drasticamente ridotti dal Protocollo di Montreal del 1987; ora, però, questi insidiosi gas hanno trovato un ‘alleato’ nel fumo degli incendi. Questo nuovo dato, quindi, impone una particolare sorveglianza sul nuovo antagonista dell’ozono: il riscaldamento globale, infatti, porta a incendi più forti e frequenti e il loro fumo potrebbe avere un impatto serio e duraturo sullo scudo protettivo della Terra.

In alto: lo stato dell’ozono nel 2019 (Crediti: Nasa)