Una ricerca dell’Università della California ha sviluppato un metodo per ottenere un carburante green per il volo spaziale. Questo nuovo combustibile non a base di carbonio consiste nel borano di ammoniaca, una sostanza chimica presente nelle batterie delle auto elettriche.
Il nuovo propellente pulito per razzi e satelliti, oltre alla riduzione delle emissioni, garantirebbe diversi vantaggi tra cui un risparmio economico, data la maggior energia sprigionata, e condizioni più accessibili per il suo stoccaggio.

Lo studio, pubblicato su Journal of Physical Chemistry C, suggerisce un metodo per ottenere come mai prima la massima energia dalla sua combustione, e poter quindi utilizzare il borano di ammoniaca anche nel settore spaziale.

Il borano di ammoniaca è un potenziale carburante verde la cui combustione rilascia composti non inquinanti come ossido di boro e acqua. Rispetto ai carburanti idrocarburici, rilascia inoltre più energia, con un potenziale risparmio economico in quanto per alimentare uno stesso volo ne serve meno.
Eppure la sostanza è stata sfruttata fino a oggi principalmente per aumentare la capacità di immagazzinamento dell’idrogeno nelle batterie dei veicoli elettrici.

Tra i motivi, una natura intrinseca del composto che ostacola il suo utilizzo in quanto combustibile: chimicamente, il borano di ammoniaca è, infatti, caratterizzato da meccanismi di decomposizione e ossidazione che non permettono il rilascio di tutta la sua energia potenziale nella reazione di combustione.
Questo comporta la necessità di catalizzatori e ossidanti per fornire ossigeno extra a questo specifico carburante, condizione che lo ha escluso in quanto propellente perlomeno per lo spazio, ma solo finora.

La ricerca dell’Università della California ha, infatti, escogitato una soluzione: «siamo stati in grado di creare una combustione più completa delle sostanze chimiche e aumentare l’energia dell’intera reazione utilizzando la chimica dell’ossidante stesso, senza bisogno di un catalizzatore» afferma Pankaj Ghildiyal, coautore dello studio.

Garantendo ora l’estrazione del contenuto energetico totale, i ricercatori sottolineano gli ulteriori aspetti positivi del nuovo combustile rispetto ai tradizionali propellenti spaziali a base di idrocarburi.
Questi ultimi, infatti, richiedono uno stoccaggio a temperature inferiori al congelamento.
«La Nasa ha usato l’idrogeno liquido, che ha una densità molto bassa – afferma Ghildiyal –  richiede quindi molto spazio e condizioni criogeniche per la manutenzione».
Il nuovo combustibile, invece, risulta stabile a temperatura ambiente ed è resistente al calore elevato.

«Abbiamo determinato la chimica fondamentale che alimenta questa combinazione di carburante e ossidante – afferma Prithwish Biswas, ingegnere chimico dell’Università della California e primo autore dello studio – Ora non vediamo l’ora di vedere come si comporta su larga scala».

Immagine: Un razzo lanciato dal Mid-Atlantic Regional Spaceport (Mars) presso la Nasa Wallops Flight Facility in Virginia, nel 2013. (Crediti: Nasa/Bill Ingalls)