Una nuova ricerca guidata da Amata Mercurio dell’Istituto Nazionale di Astrofisica ha analizzato 1234 galassie appartenenti all’ammasso Abell S1603, la cui luce ha viaggiato per quattro miliardi di anni prima di raggiungerci. Si tratta di un campione spettroscopico da record per lo studio di galassie negli ammassi, ottenuto grazie a osservazioni realizzate con il Very Large Telescope dell’Eso in Cile: la qualità senza precedenti di questi dati ha permesso di esaminare in dettaglio gli effetti ambientali e dinamici sull’evoluzione delle galassie all’interno dell’ammasso

Gli ammassi di galassie sono le più grandi strutture nell’universo tenute insieme dalla gravità: possono contenere centinaia o migliaia di galassie, permeate da enormi quantità di gas a temperature di milioni di gradi e oltre, e da quantità ancora maggiori della invisibile materia oscura. Essendo strutture gigantesche, nascono dall’assemblaggio “gerarchico” di elementi più piccoli – aloni di materia oscura e galassie – nel corso dei miliardi di anni di storia del cosmo, ma i meccanismi che regolano l’evoluzione delle galassie all’interno di questi immensi calderoni celesti sono ancora in parte misteriosi.

Gli astrofisici si interrogano sulle modalità esatte e le epoche della storia cosmica in cui le galassie vengono inglobate da un ammasso e se questo fenomeno, detto “accrescimento”, può avere effetti apprezzabili sulle proprietà fisiche di tali galassie. Anche i moti delle galassie all’interno dell’ammasso destano particolare interesse poiché potrebbero avere un impatto non trascurabile sull’attività di formazione stellare all’interno delle galassie stesse.

Lo studio guidato da Amata Mercurio, a capo di un team internazionale che coinvolge numerosi ricercatori e ricercatrici dell’Inaf e di diverse università italiane, ha analizzato per la prima volta in dettaglio i moti delle galassie in funzione della loro formazione stellare all’interno di un singolo ammasso: il gigantesco Abell S1603, con una massa totale pari a circa tre milioni di miliardi quella del Sole. L’ammasso si trova a circa quattro miliardi di anni luce da noi: la luce che vediamo, quindi, è stata emessa quando l’Universo aveva quasi dieci miliardi di anni.

«Finora questo tipo di studi era stato sempre condotto mettendo insieme dati di galassie provenienti da ammassi diversi, al fine di raggiungere un campione statisticamente significativo, impedendo così, di fatto, l’analisi di eventuali dipendenze evolutive dovute alle caratteristiche dinamiche e all’accrescimento dell’ammasso stesso», spiega Mercurio, prima autrice dell’articolo pubblicato su Astronomy & Astrophysics. «Adesso invece abbiamo potuto analizzare un campione spettroscopico di galassie di ammasso ‘da record’ costituito da ben 1234 galassie che si estende fino a piccole masse stellari».

«Uno dei risultati principali del nuovo lavoro è che fra le galassie “passive”, cioè quelle che non formano più stelle, quelle di piccola massa sono state inglobate dall’ammasso prima di quelle di grande massa», dice il co-autore Andrea Biviano dell’Inaf di Trieste.

Il team ha inoltre riscontrato una asimmetria nella distribuzione delle velocità delle galassie all’interno dell’ammasso: quelle che hanno già attraversato le regioni centrali dell’ammasso e stanno tornando indietro, sembrano infatti muoversi a velocità più elevate rispetto alla media.

Un tale risultato non ha precedenti osservativi e non si può ottenere se non con un campione spettroscopico come quello utilizzato in questo lavoro, che include anche galassie di piccola massa stellare. La ricerca dimostra l’importanza dell’analisi di dati spettroscopici di grandi campioni di galassie per ottenere nuove informazioni sui meccanismi che regolano la crescita degli ammassi e i relativi effetti sull’evoluzione delle proprietà delle galassie al loro interno.