È considerata la stagione dei nuovi inizi dopo il rigore invernale, ma per una categoria di esseri viventi è stata invece il contesto di un evento fatale: si tratta della primavera, che 66 milioni di anni fa ha visto la fine dei dinosauri a causa dell’impatto di un asteroide.
La scoperta è stata effettuata da un gruppo internazionale di geologi e paleontologi, coordinato dalla Fau-Florida Atlantic University, ed è stata illustrata in uno studio pubblicato di recente su Scientific Reports (articolo: “Seasonal calibration of the end-cretaceous Chicxulub impact event”).
L’evento responsabile dell’estinzione dei dinosauri e, complessivamente, del 75% delle forme di vita terrestri è ben noto: un asteroide, di quasi 10 chilometri di diametro, è entrato in collisione con il nostro pianeta provocando uno sconvolgimento climatico di portata globale. L’impatto produsse una colossale voragine (150 chilometri di ampiezza e 20 di profondità) in quella che oggi è la penisola dello Yucatan (Messico); il cratere è stato chiamato Chicxulub.
Da decenni il cataclisma viene studiato in maniera approfondita per ricostruirne al meglio tutti i dettagli, tanto che in tempi recenti è stato anche possibile formulare un’ipotesi concreta sulla provenienza dell’asteroide. Tuttavia, non era ancora molto chiaro il periodo dell’anno in cui si è verificato l’impatto ed è a questa domanda che gli autori del nuovo studio hanno tentato di rispondere; la ricerca, che ha comportato un lungo impegno (ha preso il via nel 2014), ha richiesto la sinergia di differenti discipline scientifiche e tecniche d’indagine.
In particolare, il team ha concentrato i suoi sforzi investigativi su Tanis, una località situata nel Nord Dakota (Usa) e considerata una delle zone di maggior interesse paleontologico sulla Terra. In questo sito gli studiosi hanno raccolto una vasta messe di dati e sono così giunti alla conclusione che la stagione dei fiori è stata funesta per i dinosauri; per arrivare a questo risultato è stato necessario ricorrere alla datazione radiometrica, alla stratigrafia (con particolare riguardo ad un sedimento di argilla ricco di iridio) e all’analisi di materiali fossili (tra cui il polline). L’esame dei sedimenti ha in effetti documentato l’esistenza di massicce inondazioni scatenate dall’impatto; esse hanno prodotto questi strati che hanno mantenuto, come in una sorta di capsula del tempo, la ‘memoria’ della catastrofe.
Nello specifico, gli studiosi, ricorrendo anche alla luce di sincrotrone, hanno riscontrato che i fossili dei pesci conservati in tali sedimenti presentano delle linee di crescita nelle lische che rimandano ad una fase di sviluppo primaverile o tutt’al più estiva. Un’ulteriore conferma è arrivata anche dal confronto con i tassi di crescita dell’attuale fauna ittica.
Il risultato della lunga indagine, secondo gli autori, è il punto di partenza per ulteriori ricerche nel sito di Tanis, che sarà lo scenario di nuovi progetti mirati a dettagliare ulteriormente il contesto stagionale dell’impatto dell’asteroide.
Crediti immagine in alto: Florida Atlantic University/Getty Images