L’European Pulsar Timing Array (Epta) è una collaborazione scientifica che riunisce vari gruppi di astronomi che utilizzano i più grandi radiotelescopi europei, e ricercatori specializzati nell’analisi dei dati e nella modellazione dei segnali di onde gravitazionali (Gw). La collaborazione Epta ha appena pubblicato un articolo che riporta l’analisi dettagliata di un segnale promettente che potrebbe essere dovuto al cosiddetto fondo di onde gravitazionali (Gwb), a cui gli astronomi di tutto il mondo stanno dando la caccia da tempo, prodotto dall’energia gravitazionale rilasciata da coppie di buchi neri supermassicci durante il loro reciproco avvicinamento, che li porterà infine a fondersi. Anche se ancora non è possibile confermare che il segnale osservato è davvero associato al GWB, lo studio, a cui hanno partecipato anche ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), rappresenta un passo avanti molto significativo sulla strada della rivelazione di onde gravitazionali di frequenza molto bassa, dell’ordine di un miliardesimo di Hertz.
I risultati dello studio, pubblicati oggi sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, sono stati resi possibili grazie ai dati raccolti in ventiquattro anni di osservazioni con cinque radiotelescopi europei di grande apertura, tra cui il Sardinia Radio Telescope (Srt) da 64 metri di diametro, situato vicino a Cagliari.
I fasci di radiazione emessi dai poli magnetici delle pulsar ruotano assieme alla stella, e noi li osserviamo come impulsi radio quando attraversano la nostra linea di vista, come i fasci di luce di un faro lontano. I Pulsar Timing Array (Pta) sono costituiti da una schiera di pulsar che possiedono una rotazione molto stabile, e per questa loro proprietà vengono utilizzate come rivelatori di onde gravitazionali su scala galattica. In presenza di un’onda gravitazionale, lo spazio-tempo viene infatti deformato e la regolarissima cadenza degli impulsi radio di una pulsar viene dunque a sua volta alterata. I Pta sono sensibili a onde gravitazionali a bassissima frequenza, nel regime del miliardesimo di Hertz: un’onda gravitazionale di questo tipo compie una singola oscillazione in circa 30 anni. I Pta sono dunque in grado di ampliare la finestra di osservabilità delle onde gravitazionali, al momento limitata solo alle frequenze alte (dell’ordine delle centinaia di Hertz), che sono studiate dai rivelatori a terra Ligo/Virgo/Kagra. Questi strumenti sono in grado di captare i segnali gravitazionali generati nelle collisioni di breve durata che coinvolgono buchi neri di massa stellare e stelle di neutroni, mentre i Pta possono rivelare le onde gravitazionali prodotte da sistemi binari di buchi neri supermassicci situati nel centro delle galassie, durante il loro lento moto spiraleggiante di reciproco avvicinamento. L’effetto cumulativo dei segnali prodotti da questa popolazione di oggetti celesti estremi è il cosiddetto fondo di onde gravitazionali (in inglese Gravitational Waves Background, o Gwb).
Andrea Possenti, ricercatore presso l’Inaf di Cagliari e coautore del lavoro, spiega: «La presenza di un fondo di onde gravitazionali si manifesta sotto forma di fluttuazioni di bassissima frequenza nel ritmo degli impulsi radio provenienti da tutte le pulsar, una sorta di ‘rumore’ aggiuntivo, che perturba il regolare andamento degli impulsi, che altrimenti potremmo paragonare al ticchettio di un orologio precisissimo. Parlando in maniera molto semplificata, un esperimento come quello condotto da Epta consiste dunque nella ripetuta osservazione della schiera di pulsar, ogni qualche settimana e per molti anni, alla ricerca di un ‘rumore’ a bassissima frequenza che affligga il loro ticchettio in maniera comune a tutte le pulsar, e che non sia attribuibile a cause diverse dalle onde gravitazionali».
Infatti, l’ampiezza aspettata del “rumore” dovuto al fondo gravitazionale è incredibilmente piccola, da alcune decine a un paio di centinaia di miliardesimi di secondo di anticipo o di ritardo nei tempi di arrivo degli impulsi radio: in linea di principio molti altri effetti potrebbero indurre un simile “rumore”. Alfine di ridurre il ruolo delle altre fonti di perturbazione e convalidare i risultati, l’analisi dei dati raccolti dalle misure di Epta si è dunque avvalsa di due procedure completamente indipendenti, con tre diverse modellizzazioni delle correzioni dovute ai corpi del Sistema solare, e adottando trattamenti statistici diversi. Ciò ha permesso al team di individuare un chiaro segnale potenzialmente identificabile come appartenente al fondo di onde gravitazionali. In particolare, le sue proprietà spettrali – ovvero come l’ampiezza del “rumore” osservato varia con la sua frequenza – riflettono le aspettative teoriche per un segnale attribuibile al fondo cosmico di onde gravitazionali.
Nicolas Caballero, ricercatore presso l’Istituto Kavli per l’Astronomia e l’Astrofisica a Pechino e co-autore principale della pubblicazione spiega: «L’Epta aveva già trovato indicazioni della presenza di questo segnale nel set di dati pubblicati nel 2015. Poiché i risultati erano allora affetti da incertezze statistiche grandi, furono strettamente discussi solo come limiti superiori per l’ampiezza del segnale. I nostri nuovi dati ora confermano chiaramente la presenza di questo segnale comune a tutte le pulsar, rendendolo un candidato per il fondo di onde gravitazionali».
La Relatività Generale di Einstein predice una relazione molto specifica tra le deformazioni dello spazio-tempo sperimentate dai segnali radio provenienti da pulsar situate in diverse direzioni del cielo. Gli scienziati la chiamano “correlazione spaziale” del segnale. La sua rilevazione identificherà in modo univoco il rumore osservato come dovuto a un fondo di onde gravitazionali. Siyuan Chen, ricercatore presso il LPC2E, Cnrs di Orleans in Francia, co-autore principale dello studio, osserva: «Al momento, le incertezze statistiche nelle nostre misure non ci permettono ancora di identificare la presenza della correlazione spaziale prevista per il segnale di fondo delle onde gravitazionali. Per confermare la natura del segnale abbiamo dunque bisogno di includere più dati di pulsar nell’analisi, possiamo però dire che i risultati attuali sono molto incoraggianti».
L’Epta è membro fondatore dell’International Pulsar Timing Array (Ipta). Poiché anche le analisi dei dati indipendenti eseguite dagli altri partner dell’Ipta (cioè gli esperimenti NanoGrav e Ppta) hanno indicato la presenza di un segnale simile, i membri dell’Ipta stanno lavorando insieme per preparare al meglio i prossimi passi, grazie al progresso ottenuto dal confronto fra tutti i loro dati e metodi di analisi.
Delphine Perrodin, ricercatrice dell’Inaf a Cagliari e coautrice del lavoro, conclude: «Come lo è stato per le onde gravitazionali di alta frequenza nel 2015, la rivelazione di onde gravitazionali di bassissima frequenza sarebbe un risultato epocale per la fisica, per l’astrofisica e per la cosmologia. In particolare, la scoperta e lo studio del fondo di onde gravitazionali ci darà informazioni dirette sulla taglia ed evoluzione dei buchi neri supermassicci, e sul loro contributo nel modellare le galassie e l’universo attuale. Una sfida in cui Inaf è immersa fin dal 2006, anno di nascita della collaborazione Epta, e che si avvale adesso dell’asset rappresentato da Srt e dal suo coinvolgimento come parte del Large European Array for Pulsars (Leap), in cui i telescopi di Epta lavorano in modo sincronizzato per raggiungere le capacità di una singola antenna da 200 metri di diametro, e così aumentare di molto la sensibilità di Epta alle onde gravitazionali».
In alto: Rappresentazione artistica dell’esperimento Epta. Un gruppo di radiotelescopi europei ha osservato una rete di pulsar distribuite nel cielo. La variazione registrata nel tempo di arrivo sulla Terra degli impulsi radio emessi da questi corpi celesti consente agli astronomi di studiare le più minime perturbazioni dello spazio-tempo. Queste perturbazioni, chiamate onde gravitazionali, si propagano senza sosta dai confini più remoti e quindi più antichi dell’universo, quando le prime galassie si sono fuse tra loro e i buchi neri supermassicci ospitati nelle loro regioni centrali hanno orbitato l’uno attorno all’altro e le hanno prodotte.