In una recente ricerca dell’Università della California, il telescopio spaziale Hubble di Nasa ha dato una visione completa e senza precedenti dei primi istanti del cataclisma fatale con cui una stella finisce il suo corso: l’esplosione in supernova. Il residuo stellare indagato da Hubble, in combinazione con il satellite TESS di Nasa e altri telescopi da Terra, si chiama SN 2020fqv e si trova nel sistema delle Galassie Farfalla, due galassie (NGC 4567 e NGC 4568) in interazione tra loro dislocate nel vasto ammasso della Vergine, distante 60 milioni di anni luce dalla Terra.

Le osservazioni congiunte hanno fornito agli astronomi un sistema di allarme preventivo per individuare potenziali stelle sul punto di esplodere. L’allarme scatterebbe se si rileva una produzione elevata di materiale circumstellare. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

SN 2020fqv ha attirato la curiosità del team quando Il satellite TESS, progettato per scoprire esopianeti e altri fenomeni, ha iniziato a osservare la supernova. Il team ha quindi addestrato Hubble per una indagine sul materiale circumstellare dislocato in regioni molto vicine alla stella, materiale espulso dalla stessa nell’ultimo anno della sua vita.

«Raramente abbiamo la possibilità di esaminare questo materiale circumstellare molto vicino, poiché è visibile solo per un tempo molto breve, e di solito non cominciamo ad osservare una supernova fino a pochi giorni dopo l’esplosione» ha spiegato Samaporn Tinyanont, autore principale dello studio.

Il team è riuscito a ricostruire la cronistoria del cataclisma unendo le osservazioni dei due telescopi: TESS ha fornito immagini del sistema con intervalli di 30 minuti, partendo dalle ore precedenti all’esplosione, includendo il cataclisma, fino ad arrivare ad alcune settimane dopo l’evento. Hubble è stato utilizzato per avere osservazioni del sistema risalenti agli anni 90 e poi, in un secondo momento, per indagare di nuovo gli attimi subito dopo l’esplosione. Gli scienziati hanno ricostruito così la storia multi-decennale delle ultime fasi della stella.

«Questa è davvero la visione più dettagliata di stelle come questa nei loro ultimi momenti e di come esplodono» dice Ryan Foley, il leader del team che ha realizzato lo studio.

In seguito, i ricercatori hanno messo in campo il tridente: tre metodi diversi per determinare la massa della stella esplosa. Confrontando la supernova con modelli, controllando l’archivio di Hubble del 1997 per escludere stelle di massa superiore e, infine, misurando la quantità di ossigeno della supernova, il team è riuscito a determinare che la stella esplosa era 14 o 15 volte la massa del Sole.

Questo riscontro è scaturito per la prima volta nello studio di una supernova: non era mai successo, infatti, che tutti e tre questi diversi metodi verificassero, in coerenza tra loro, la massa di una stella esplosa in supernova.

«Ora possiamo andare avanti usando questi diversi metodi e combinandoli, perché ci sono molte altre supernove di cui calcoliamo la massa da un metodo ma non da un altro» ha affermato Tinyanont.

Questo risultato, quindi, potrebbe fornire agli astronomi un sistema di monitoraggio e di allarme precoce per individuare stelle sull’orlo della morte. Il sintomo indice di una possibile esplosione per una stella è, secondo il lavoro, una produzione di materiale circumstellare particolarmente attiva.

 

Immagine in evidenza: SN 2020fqv all’interno delle Galassie Farfalla nella costellazione della Vergine. Crediti: NASA, ESA, Ryan Foley (UC Santa Cruz); Image Processing: Joseph DePasquale (STScI)