Tra le prime vittime del cambiamento climatico vi sono i ghiacciai polari. Il riscaldamento globale ha portato a temperature più alte sia per le acque marine, sia per l’atmosfera terrestre. Le piattaforme di ghiaccio, lingue galleggianti dei ghiacciai che si estendono sull’oceano, risultano dunque bersaglio facile essendo a contatto diretto con entrambi gli elementi: aria sopra e acqua oceanica sotto.
Conseguenza di questa doppia esposizione non è solo lo scioglimento dei ghiacciai, ma anche l’aumento del tasso di movimento e disintegrazione delle piattaforme. Il motore specifico del processo sono le crepe che prima intagliano le lastre ghiacciate per poi approfondirsi in spaccature profonde. Un processo di incisione dall’alto verso il basso che, con un allargamento trasversale della crepa, si conclude sempre più spesso con il rilascio di iceberg nell’oceano.
Una recente ricerca del Jet Propulsion Laboratory della NASA e dell’Università della California ha scoperto che il destino di una piattaforma ghiacciata è determinato dal mélange, una miscela composta da neve, ghiaccio della piattaforma e ghiaccio marino, questo ultimo alloggiato dentro e intorno alla struttura.
Dalle proprietà naturali simili alla colla o allo stucco, il mélange avrebbe un ruolo chiave nel mantenere salda e compatta una piattaforma, grazie alla capacità di riempiere le crepe e di attaccarsi al ghiaccio e alla roccia, evitando così che la piattaforma si sgretoli o si frammenti in iceberg.
«Abbiamo sempre sospettato che questo mélange giocasse un ruolo chiave, ma fino a poco tempo fa non avevamo buone osservazioni delle sue caratteristiche», ha detto Eric Rignot, professore all’Università della California e coautore dello studio.
La ricerca si è basata su due strumenti principali, entrambi di Nasa: il primo, Ice-sheet and Sea-level System Model, è un insieme di modelli dell’evoluzione delle calotte polari in Groenlandia e in Antartide; il secondo è l’operazione IceBridge che, con i satelliti europei e di NASA, studia il legame tra i processi delle regioni polari e il sistema climatico globale.
I ricercatori hanno prima individuato alcune piattaforme tra le più vulnerabili alla rottura, dopo hanno selezionato 11 fratture da studiare. Attraverso la modellizzazione si sono poi osservati gli effetti sulle piattaforme di un assottigliamo a causa dello scioglimento del ghiaccio o, separatamente, dell’assottigliamento dei livelli della colla, il mélange appunto.
Il modello ha mostrato che il semplice assottigliamento del ghiaccio senza modifiche del mélange non avrebbe intaccato la capacità di chiudere le fratture. Quando i ricercatori hanno ipotizzato l’assottigliamento del solo mélange, senza considerare la diminuzione del ghiaccio, le fratture hanno mostrato un allargamento più rapido. Nello specifico, quando gli stretti strati di colla si assottigliano sotto circa i 15 metri, perdono completamente la loro capacità di tenere insieme le spaccature, le quali potrebbero aprirsi e creare grandi iceberg.
Un risultato che disorienta gli scienziati i quali hanno usato fino a oggi l’aumento atteso della temperatura dell’aria per stimare la velocità con cui si rompono le piattaforme di ghiaccio in Antartide. Il ruolo dell’assottigliamento del mélange, i cui strati si stanno sciogliendo principalmente per contatto con l’acqua dell’oceano sottostante, fa emergere, al contrario, il ruolo principale dell’aumento delle temperature delle acque oceaniche.
Immagine in evidenza: una spaccatura sulla piattaforma di ghiaccio Larsen C dell’Antartide; fotografata nel 2016, la spaccatura si è allargata ancora di più in pochi mesi, rilasciando un iceberg di oltre 6000 km² di superficie. Crediti: NASA/GSFC/OIB