Quando la missione della NASA OSIRIS-REx ha raggiunto l’asteroide Bennu nel 2018, gli scienziati si aspettavano di trovare una superficie ricoperta di regolite fine: materiale formato da piccoli granelli o ciottoli grandi al massimo qualche centimetro, simile alla sabbia che si trova sulle spiagge del nostro pianeta. C’erano simili aspettative anche per la missione Hayabusa 2 dell’Agenzia spaziale giapponese JAXA, che nello stesso anno ha raggiunto l’asteroide Ryugu. Una volta in prossimità di questi due piccoli corpi, invece, entrambe le sonde hanno rivelato terreni rocciosi, sorprendentemente coperti di massi e con pochissima regolite fine.
Un nuovo studio, guidato dal ricercatore italiano Saverio Cambioni, con la partecipazione di Giovanni Poggiali e John R. Brucato dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha finalmente risolto il mistero: sarebbe la natura molto porosa delle rocce di questi asteroidi a spiegare l’assenza di regolite fine sulla loro superficie.
«Quando sono arrivate le prime immagini da Bennu, abbiamo notato alcune regioni in cui la risoluzione non era sufficiente per fare distinzione tra piccole rocce e regolite fine, così abbiamo iniziato a usare il nostro nuovo metodo di intelligenza artificiale per riconoscere la regolite fine dalle rocce usando l’emissione in infrarosso registrata dalla sonda», spiega Saverio Cambioni, primo autore dell’articolo pubblicato oggi su Nature, che ha condotto questa ricerca durante il dottorato presso l’Università dell’Arizona, negli Stati Uniti, e oggi è ricercatore post-doc presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT).
«Per distinguere il contributo della regolite fine da quello della roccia e fare uno studio globale della superficie, è stato necessario mettere insieme un grande database di regioni osservate sia nel giorno e nella notte», afferma Giovanni Poggiali, co-autore dello studio e ricercatore INAF a Firenze. L’emissione termica rilasciata dalla regolite fine, che dipende dalla dimensione dei suoi granelli, è diversa dall’emissione prodotta da rocce più grandi, che dipende invece dalla loro porosità. Per questo il team ha simulato l’emissione prodotta da diverse miscele di regolite fine e rocce di varia porosità, insegnando a un algoritmo come riconoscere i diversi terreni e confrontarli con osservazioni della superficie di Bennu.
L’analisi dei dati ha mostrato che la regolite fine non è distribuita in maniera casuale su Bennu ma che, laddove le rocce sono più porose – ovvero su gran parte dell’asteroide – se ne trova sistematicamente di meno. Questo suggerisce che le rocce altamente porose del corpo celeste producano meno regolite fine perché vengono compattate – e non frammentate, come avviene per rocce meno porose – a seguito di impatti meteorici: le cavità all’interno delle rocce aiuterebbero ad attutire il colpo delle meteoriti, risultando in una minore produzione di frammenti. Inoltre, le rocce porose si romperebbero più lentamente a causa del ciclo diurno di riscaldamento e raffreddamento dell’asteroide, inibendo ancora di più la formazione della regolite fine.
«Con l’intelligenza artificiale, usata per la prima volta in questo tipo di ricerca, siamo riusciti ad andare molto più a fondo nell’analisi dei dati spettroscopici evidenziando proprietà uniche dei materiali che costituiscono gli asteroidi primitivi come Bennu e Ryugu», sottolinea John Brucato, co-autore dello studio e ricercatore INAF a Firenze.
Anche per l’asteroide Ryugu, Cambioni e colleghi propongono che sarebbe la porosità delle sue rocce a spiegare la mancanza di regolite fine osservata da Hayabusa 2. Analogamente, l’abbondanza di questo materiale registrata nel 2005 dalla precedente missione JAXA, Hayabusa, su un altro asteroide di tipo diverso, Itokawa, sarebbe dovuta a una minore porosità delle sue rocce, determinata dai ricercatori utilizzando osservazioni da Terra. Secondo il team, la regolite fine sarebbe rara sugli asteroidi carbonacei come Bennu e Ryugu, che sono il tipo più comune di asteroidi e si pensa siano formati da rocce molto porose. La regolite fine sarebbe invece abbondante sugli asteroidi di tipo S come Itokawa, che sono il secondo tipo più comune di asteroidi e le cui rocce sarebbero più dense e meno porose.
«Capire i processi di evoluzione degli asteroidi è importante per comprendere l’evoluzione del Sistema solare e del nostro pianeta. Per far luce su questo aspetto, dovremo visitare più asteroidi in futuro per raccogliere campioni da riportare e analizzare sulla Terra. Il nostro studio permetterà di capire in anticipo la natura delle superfici degli asteroidi, e quindi di pianificare le missioni di conseguenza».
L’articolo “Fine-regolith production on asteroids controlled by rock porosity”, di S. Cambioni, M. Delbo, G. Poggiali, C. Avdellidou, A.J. Ryan, J.D.P. Deshapriya, E. Asphaug, R.-L. Ballouz, M.A. Barucci, C.A. Bennett, W.F. Bottke, J.R. Brucato, K.N. Burke, E. Cloutis, D.N. DellaGiustina, J.P. Emery, B. Rozitis, K.J. Walsh e D.S. Lauretta è stato pubblicato online sulla rivista Nature.