Dopo miliardi di anni di onorato servizio, alcune galassie chiudono la loro fabbrica di stelle. O quanto meno si mettono part time, riducendo sensibilmente la produzione stellare. Si tratta di galassie che gli astronomi hanno definito quiescenti, e che negli ultimi anni hanno sollevato non pochi interrogativi. Primo tra tutti: perché queste galassie vanno in pensione, o quasi? La risposta più ovvia è che hanno esaurito il carburante, ovvero l’idrogeno.
Ma la situazione non è così semplice. Diverse galassie quiescenti conosciute sono infatti galassie massicce risalenti a un’epoca in cui l’universo era molto giovane. In base ai principali modelli cosmologici, queste galassie dovrebbero essere estremamente attive, all’apice della loro produzione stellare. E invece alcune galassie massicce nate subito dopo il Big Bang, 14 miliardi di anni fa, non hanno lavorato poi così tanto. Si sono infatti spente in tempi brevissimi (astronomicamente parlando), ‘soltanto’ nel giro di un paio di miliardi di anni.
Ora un nuovo studio guidato dall’Università del Massachusetts ad Amherst getta uno sguardo agli antichi meccanismi cosmici che hanno portato allo spegnimento precoce di queste galassie. I risultati, pubblicati oggi su Nature, confermano che la causa di questo insolito fenomeno è proprio l’esaurimento dell’idrogeno, e più in generale del gas freddo contenuto nelle antiche galassie massicce. Ma la principale novità della ricerca sta nell’averlo dimostrato per la prima volta con i dati osservativi, identificando anche una finestra temporale di questo spegnimento galattico.
Per farlo, il team di ricerca ha messo insieme i risultati raccolti da due telescopi molto diversi tra loro. Prima di tutto Hubble, che vede la luce dall’ultravioletto al vicino infrarosso, ed è in grado di osservare le galassie come apparivano tra i 10 e i 12 miliardi di anni fa. Hubble permette insomma un salto indietro nel tempo, dando uno sguardo al passato del nostro universo. Questi dati hanno permesso ai ricercatori dell’Università del Massachusetts di studiare le giovani galassie massicce quiescenti, con un’età compresa tra i 2 e i 4 miliardi di anni. Per immergersi ancora di più in questi oggetti distanti, gli scienziati hanno combinato i dati di Hubble con quelli di Alma, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, in grado di rilevare le emissioni radio in lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche.
«Nel primo universo c’era una grande quantità di gas freddo – spiega Kate Whitaker, leader dello studio – quindi le galassie che abbiamo osservato, risalenti a 12 miliardi di anni fa, avrebbero dovuto contenere ancora un sacco di carburante nel loro serbatoio. Invece, abbiamo trovato soltanto tracce di gas freddo situato al centro di ogni galassia. Questo significa che, entro i primi miliardi di anni di esistenza dell’universo, queste galassie massicce hanno bruciato le loro scorte di energia, oppure le hanno espulse. Inoltre, qualcosa potrebbe aver fisicamente bloccato il rifornimento di gas freddo di ogni galassia».
Restano da comprendere meglio i meccanismi galattici che hanno portato a questa dispersione del carburante delle antiche fabbriche stellari. Ma quel che ormai sembra certo è che la ‘pensione anticipata’ delle galassie massicce è dovuta a un esaurimento precoce delle loro scorte di gas freddo, avvenuto quando il nostro universo era ancora giovane.
Crediti immagine in apertura: Esa/Hubble & Nasa, A. Newman, M. Akhshik, K. Whitaker