Le depressioni e i bacini d’impatto su Vesta sono al centro di un nuovo studio, realizzato grazie ai dati della sonda Nasa Dawn. Nel corso della sua evoluzione, Vesta è stato colpito da due asteroidi che hanno lasciato crateri da impatto così grandi da coprire la maggior parte dell’emisfero meridionale. Si pensa che da queste collisioni sia stato espulso materiale roccioso nello spazio. Alcune di queste rocce hanno raggiunto la Terra sotto forma di meteoriti, fornendo agli scienziati sufficiente materiale da sottoporre ad analisi geochimiche.
Cosa ha innescato la formazione di questi crateri e avvallamenti? Per scoprirlo, gli scienziati hanno utilizzato il metodo di conteggio dei crateri per esplorare l’età relativa dei bacini Rheasilvia e Veneneia e delle depressioni circostanti. Contare il numero di cavità in una determinata area permette di determinare per quanto tempo esse si sono accumulate e – di conseguenza – di calcolare l’età della superficie. Secondo i risultati della ricerca, gli avvallamenti e i bacini hanno un numero simile di crateri di varie dimensioni e hanno quindi un’età analoga. La teoria che va per la maggiore suggerisce che questi affossamenti siano valli delimitate da faglie con una scarpata distinta su ciascun lato, che indica lo scivolamento di un blocco di roccia.
Tuttavia, la roccia può anche rompersi e formare tali depressioni, un’ipotesi non considerata in precedenza dalla comunità scientifica. Gli autori dello studio ritengono che la gravità di Vesta non sia sufficientemente forte da produrre sollecitazioni circostanti favorevoli allo scorrimento delle rocce a basse profondità. Pertanto, la formazione di questi avvallamenti deve comportare l’apertura di crepe, una tesi in contrasto con le teorie formulate in passato. Lo studio è solo alle fasi iniziali e fornisce non sono nuovi indizi sulla storia geologica di Vesta, ma anche spunti utili per lo studio della morfologia di altri corpi celesti minori del Sistema Solare.