Dopo aver fatto parlare di sé per aver ricevuto la ‘visita’ della sonda Juno della Nasa, lo scorso 7 giugno, Ganimede – luna di Giove – torna alla ribalta per uno studio sulla sua atmosfera, appena pubblicato su Nature Astronomy (articolo: “A sublimated water atmosphere on Ganymede detected from Hubble Space Telescope observations”). L’indagine, che evidenzia la presenza di vapore acqueo nell’atmosfera del maggiore dei satelliti naturali di Giove, è stata condotta da un gruppo di lavoro internazionale, coordinato dal Royal Institute of Technology di Stoccolma, e si è basata sui dati di Hubble, sia recenti che d’archivio.

Ricerche precedenti hanno rilevato che Ganimede, che è anche la luna più grande dell’intero Sistema Solare, contiene più acqua di tutti gli oceani terrestri. Il liquido, oltre ad essere ghiacciato a causa delle temperature estremamente rigide, è nascosto circa 160 chilometri sotto la crosta del corpo celeste e quindi non può essere soggetto ad evaporazione. Di conseguenza, il vapore acqueo riscontrato grazie allo storico telescopio Nasa-Esa deve avere un’altra fonte.

Gli studiosi hanno passato al setaccio i dati raccolti da Hubble negli ultimi vent’anni. Nel 1998 il suo strumento Stis (Space Telescope Imaging Spectrograph) realizzò le prime immagini di Ganimede nell’ultravioletto, che hanno evidenziato l’esistenza sia di bande aurorali che di un debole campo magnetico. Le somiglianze riscontrate in queste osservazioni nell’ultravioletto furono ricondotte alla presenza di ossigeno molecolare (O2); tuttavia, sono successivamente emerse alcune peculiarità non ascrivibili alle emissioni di un’atmosfera costituita da O2 puro. All’epoca, gli scienziati ipotizzarono che questa discrepanza potesse dipendere da concentrazioni più elevate di ossigeno atomico (O).

Nell’ambito di un ampio programma di osservazioni ideato per supportare l’attività della sonda Juno, gli autori del saggio hanno ripreso in mano i dati d’archivio di Hubble e li hanno combinati con quelli raccolti nel 2018 da un altro strumento del telescopio, Cos (Cosmic Origins Spectrograph). Il loro intento era di effettuare nuove misurazioni dell’ossigeno atomico nell’atmosfera di Ganimede: tuttavia, contrariamente allo studio del 1998, tale elemento era pressoché assente. A questo punto, il team si è messo al lavoro per interpretare le differenze tra le vecchie osservazioni nell’ultravioletto e si è focalizzato sulla distribuzione delle aurore, rilevando che la temperatura di superficie di Ganimede varia notevolmente nel corso della giornata e che verso il mezzodì e vicino all’equatore diventa calda a sufficienza perché il ghiaccio rilasci piccole quantità di molecole d’acqua. Quindi, le differenze riscontrate nelle già citate immagini sono direttamente connesse al luogo in cui ci si aspetterebbe di trovare l’acqua nell’atmosfera della luna. Questa scoperta, secondo il gruppo di lavoro, potrà essere molto utile come base per la futura missione Juice dell’Esa, che è stata ideata proprio per studiare le lune ghiacciate di Giove e il cui lancio è pianificato per il 2022.

Juno, che lo scorso 4 luglio ha ‘festeggiato’ cinque anni di attività scientifica nell’orbita di Giove, è stata progettata per comprendere l’origine e l’evoluzione del pianeta. La missione, tramite l’Agenzia Spaziale Italiana, vanta un significativo contributo da parte del nostro Paese con lo spettrometro Jiram (strumento dell’Inaf-Iaps, realizzato da Leonardo) e lo strumento di radioscienza KaT (Ka-Band Translator, dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, realizzato da Thales Alenia Space-Italia).

In alto: le immagini di Ganimede nell’ultravioletto (Crediti: Nasa, Esa, L. Roth – Kth) – in basso: la struttura interna di Ganimede (Crediti: Nasa – Goddard Space Flight Center).