Una ‘mano’ con le dita protese verso lo spazio: è questo il singolare aspetto assunto dal resto di una supernova, osservato dalla missione Chandra della Nasa. L’oggetto celeste, designato come Msh 15-52, e il suo movimento sono al centro di un recente studio di The Astrophysical Journal Letters (articolo: “Fast Blast Wave and Ejecta in the Young Core-collapse Supernova Remnant Msh 15-52/Rcw 89”); l’indagine, basata su diversi set di dati di Chandra, è stata condotta da un gruppo di scienziati del Dipartimento di Fisica della North Carolina State University.
La luce della supernova, secondo gli autori del saggio, dovrebbe aver raggiunto la Terra circa 1700 anni fa, quando l’impero dei Maya stava fiorendo; in termini astronomici, invece, si tratta di un evento piuttosto recente, tanto che Msh 15-52 viene considerato uno dei resti di supernova più giovani nella Via Lattea.
Dall’esplosione, oltre ai detriti e all’onda d’urto, si è creata una pulsar che ha successivamente originato una bolla di particelle cariche di energia, ovvero una nebulosa che emette raggi X. Il resto di supernova e la nebulosa, con il passare del tempo e man mano che si espandono nello spazio, hanno subito dei cambiamenti e ora hanno si presentano con l’aspetto di una mano.
La singolare struttura, tenuta d’occhio da Chandra sin dal 2004, si sta muovendo e si sta scontrando con Rcw 89, una nube di gas il cui bordo interno ha creato una sorta di muro. Per seguire l’evoluzione del movimento, gli astronomi hanno utilizzato i dati raccolti dall’osservatorio a raggi X della Nasa nel 2004, 2008, 2017 e 2018.
Nonostante alcune parti di questo oggetto celeste si spostino a velocità ragguardevoli (superano anche 17 milioni di chilometri orari), Msh 15-52 sta in realtà rallentando e si calcola che per raggiungere l’estremità più lontana di Rcw 89 dovrebbe viaggiare ad un ritmo di oltre 48 milioni di chilometri orari). Il dato è stato calcolato basandosi sull’età di Msh 15-52 e sulla distanza tra il centro dell’esplosione e Rcw 89; la differenza di velocità implica che il materiale deve essere passato attraverso una cavità di gas a bassa densità ed aver subito un significativo rallentamento.
La stella che ha dato luogo all’esplosione ha probabilmente perduto – in parte o tutto – il suo strato esterno di idrogeno, formando questa cavità prima del ‘botto’ finale; un analogo comportamento è stato riscontrato in un altro resto di supernova, il noto e ben più giovane (350 anni) Cassiopeia A. I cumuli di detriti osservati in Msh 15-52 potrebbero essere considerati le versioni più vecchie di quelli visti in Cassiopeia A (nella lunghezza d’onda dell’ottico) per quanto riguarda la velocità e la densità iniziali.
Questi due oggetti celesti, in definitiva, potrebbero aver sperimentato gli stessi processi che poi hanno portato all’esplosione e che potrebbero essere correlati al modo in cui le stelle private dell’idrogeno evolvono verso il drammatico epilogo. Tuttavia, questa ipotesi, secondo gli studiosi, necessità di ulteriori approfondimenti.
In alto: il resto di supernova Msh 15-52 (Crediti: Nasa/Sao/Ncsu/Borkowski et al.)