Il suo è stato proprio un ‘salutino’, durato solo 17 millisecondi, ma la sensibilità degli strumenti della sonda Juno della Nasa è riuscita a tenerne traccia: l’oggetto che è andato incontro così rapidamente all’atmosfera di Giove è stato classificato come un bolide, ovvero una meteora caratterizzata da un elevata luminosità.

Questa brevissima visita è al centro di uno studio pubblicato di recente su Geophysical Review Letters (articolo: “Detection of a bolide in Jupiter’s atmosphere with Juno Uvs”); l’indagine, condotta da un gruppo di lavoro internazionale, è stata coordinata dal Southwest Research Institute di San Antonio (Texas).

Lo strumento di Juno che ha colto il movimento del bolide è lo spettrografo ultravioletto Uvs; l’osservazione è avvenuta il 10 aprile 2020, mentre il dispositivo era impegnato in altre attività scientifiche. Il gigante gassoso non è nuovo a questi impatti: essi di solito sono talmente brevi che è inusuale poterli in qualche modo registrare. Solo fenomeni più ampi possono essere osservati con qualche successo dalla Terra, se si ha la fortuna di puntare il telescopio verso il colossale pianeta al momento giusto.

Uvs, sin dall’arrivo di Juno nell’orbita di Giove, è stato utilizzato per studiare la morfologia, la luminosità e le caratteristiche spettrali delle sue aurore. Occasionalmente, lo strumento ha osservato anche dei bagliori momentanei, della durata di soli 1 o 2 millisecondi, che sono stati identificati come ‘eventi luminosi transitori’ (Tle – Transient Luminous Event), un fenomeno elettrico che si verifica nell’alta atmosfera.

Quando il gruppo di lavoro si è trovato a dover classificare il bagliore durato 17 millisecondi, aveva in un primo momento pensato ad un Tle; ma questa identificazione è stata scartata per la durata molto più lunga e soprattutto per le caratteristiche spettrali alquanto differenti, tra cui una lieve curva di corpo nero che poteva essere coerente con una meteora.

Dai dati di Uvs emerge che l’oggetto aveva una temperatura di oltre 9mila Kelvin e che si trovava ad un’altitudine, rispetto alle nubi di Giove, pari a 225 chilometri; la sua massa, in base al bagliore dell’impatto, doveva essere compresa tra 250 e 1496 chilogrammi.

Gli studiosi ritengono che questi fenomeni siano di grande interesse per comprendere come si evolva la composizione della stratosfera di un pianeta: gli oggetti celesti che vi entrano in collisione, infatti, finiscono con il modificarne sensibilmente la struttura chimica. Un esempio lampante si ha proprio con Giove: nel 1994 la cometa Shoemaker-Levy 9 andrò ad infrangersi contro l’atmosfera del pianeta, che si arricchì di acqua. Ancora 15 anni dopo lo scontro, tale cometa poteva dirsi responsabile del 95% dell’acqua nella stratosfera del colosso gassoso.

Juno, lanciata il 5 agosto 2011, ha raggiunto l’orbita di Giove il 5 luglio 2016 e da allora ha iniziato la sua attività scientifica, mirata a comprendere l’origine e l’evoluzione del pianeta. La missione, attraverso l’Agenzia Spaziale Italiana, vanta un significativo contributo ‘tricolore’ con lo spettrometro Jiram (Jovian InfraRed Auroral Mapper, dell’Inaf-Iaps, realizzato da Leonardo) e lo strumento di radioscienza KaT (Ka-Band Translator, dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, realizzato da Thales Alenia Space-Italia).