Nello studio dell’universo, esiste un ‘ingrediente’ principale per misurare la distanza tra corpi celesti: la luce.  Confrontando la luminosità apparente e la quantità di luce effettivamente emessa da un oggetto, gli astronomi sono riusciti a calcolare la posizione di stelle e pianeti anche molto lontani da noi.

Le cose però si complicano in presenza di corpi celesti che non emettono luce, primi tra tutti i buchi neri. Una possibile scappatoia consiste nel fatto che i buchi neri supermassicci al centro della maggior parte delle galassie spesso sprigionano una grande quantità di materia, formando dischi caldi e luminosi.

Un nuovo studio, guidato dall’Università dell’Illinois e pubblicato su Astrophysical Journal, ha misurato la distanza dei dischi dei buchi neri in oltre 500 galassie utilizzando una tecnica detta eco-mappatura. Questo metodo, chiamato anche mappatura del riverbero, si basa sulla misurazione del raggio della nube di gas che circonda i nuclei galattici attivi.

L’operazione è possibile appunto grazie alla luce sprigionata dal disco dei buchi neri al centro delle galassie. Quando questa luce si allontana dal disco, si ‘scontra’ con la nube di polveri a forma di ciambella attorno al buco nero, nota anche come toro. Insieme, il disco e il toro formano una sorta di occhio di bue: il disco di accrescimento si trova avvolto strettamente intorno al buco nero, seguito da anelli consecutivi di plasma e gas leggermente più freddi, mentre il toro di polvere costituisce l’anello più largo e più esterno. Una volta assorbita dal toro, la luce proveniente dal disco provoca un aumento di temperatura della polvere, che a sua volta rilascia luce infrarossa. È proprio questo il cosiddetto ‘eco’ dei cambiamenti che avvengono nel disco: la sua misurazione permette di calcolare il raggio della nube di gas, risalendo così alla posizione del buco nero.

Parliamo di distanze estremamente elevate: la luce può impiegare anche anni per attraversare lo spazio tra il disco e il toro di un buco nero. Per questo il nuovo studio ha utilizzato quasi due decenni di osservazione dei dischi di accrescimento di diversi buchi neri, catturati da vari telescopi terrestri. Gli scienziati hanno poi combinato queste informazioni con i dati a infrarosso raccolti dalla missione Near Earth Object Wide Field Infrared Survey Explorer (Neowise) della Nasa.

La ‘mappa’ degli oltre 500 buchi neri così ottenuta è una delle più accurate mai messe a punto fino ad oggi. Un risultato che, secondo il team di ricerca, si potrà continuare a migliorare.

«La bellezza della tecnica dell’eco-mappatura – spiega infatti Qian Yang, leader dello studio – sta nel fatto che questi buchi neri supermassicci non cambieranno posizione tanto presto. Quindi possiamo misurare gli ‘echi’ dei loro dischi diverse volte, per migliorare il calcolo delle distanze».