Un giorno l’uomo metterà piede su Marte. Non sarà domani, probabilmente non sarà neppure nel 2024 come ha affermato Elon Musk. Ma su una cosa il visionario di SpaceX ci ha visto lungo: la nostra specie diventerà multiplanetaria, in un futuro che potrebbe essere neppure troppo lontano. E costruirà colonie sul mondo rosso.
Ma come potrebbero funzionare questi habitat marziani? Tutti i principali partecipanti della corsa allo spazio 2.0 concordano sul fatto che il punto di partenza sarà la Luna. Il ritorno sul nostro satellite, questa volta per restarci, è in cima ai programmi spaziali delle agenzie, con Nasa e partner che stanno concretizzando il programma lunare Artemis in partenza nel 2024. Un traguardo che ad oggi pare più realistico dello sbarco su Marte promesso da SpaceX in tempi così rapidi, ma che richiederà comunque molto lavoro. Una volta rimesso piede sulla Luna, i successivi passi sul nostro satellite sembrano piuttosto chiari: mettere in orbita il Lunar Gateway, utilizzarlo come stazione orbitante da cui gli astronauti possano fare su e giù da e verso la Luna, e infine costruire i primi insediamenti a partire dalla regolite lunare. Passaggi complicatissimi, certo, ma già considerati fattibili. Quando invece parliamo di Marte, tutti gli sforzi per il momento sembrano concentrati sul viaggio.
«La colonizzazione marziana, anche se adesso se ne parla un po’ meno rispetto alla Luna, rimane uno degli obiettivi principali – dice Raffaele Mugnuolo dell’Agenzia Spaziale Italiana – in quanto Marte ha tutte le caratteristiche che possono favorire il processo di colonizzazione umana. Ovviamente ci sono molti problemi che prima bisogna risolvere. In ordine di priorità, quelli più urgenti sono soprattutto la protezione da agenti esterni: radiazioni cosmiche difficili da schermare, ma anche fenomeni meteo come le tempeste di sabbia, con venti oltre i 250/300 chilometri all’ora, e bombardamenti di meteoriti. Una delle vie su cui si sta puntando molto è l’impiego dei lava tunnels, canali lasciati vuoti durante il processo di eruzione avvenuto in epoche remote. L’idea è utilizzare questi spazi vuoti sotto la superficie marziana per insediamenti che verrebbero così automaticamente protetti da questi fenomeni».
Ecco che la futura colonizzazione marziana si annuncia diversa da quella lunare: difficilmente potremo immaginare di costruire direttamente su Marte i primi insediamenti, ma dovremo utilizzare quello che il mondo rosso ha da offrirci. Portando quindi da casa le strutture necessarie alla sopravvivenza.
«In una prima fase – prosegue Mugnuolo – è importante garantire la permanenza di un equipaggio seppur ridotto, che possa costituire il primo nucleo della colonizzazione. Una tecnica che si sta prendendo in considerazione è quella che emula i pionieri che hanno conquistato i nuovi mondi: utilizzare i materiali delle navi con cui arrivarono nelle nuove terre per costruire i primi insediamenti. In maniera del tutto analoga, è molto più probabile che le navette spaziali con cui l’equipaggio arriverà su Marte saranno utilizzate come primi nuclei per l’insediamento permanente. Quindi saranno già realizzate in modo da poter essere impiegate nei primi momenti di questo processo di colonizzazione».
Ma proprio come i pionieri dell’esplorazione del nuovo mondo, anche i futuri coloni marziani un giorno dovranno essere autonomi sul pianeta rosso. Trovando quindi il modo di costruire oggetti direttamente su Marte. A tal proposito, è di pochi giorni fa uno studio, guidato dall’Università di Singapore, secondo cui un materiale promettente per la costruzione di habitat marziani sarebbe la chitina.
«Questo materiale sembra essere facilmente reperibile sulla Terra. Dalle prove che hanno fatto in laboratorio con materiali simil-marziani sono riusciti a dimostrare che si può probabilmente produrre anche dal suolo di Marte. Il problema è che intanto bisognerebbe aver completato quella che prima ho chiamato fase 1, quindi l’insediamento con le funzionalità indispensabili, prima di passare poi a una seconda fase in cui si potranno cominciare a impiantare dei laboratori che possano garantire per esempio la produzione di materiali come la chitina, che sembra essere molto promettente. Però io lo vedo più in un secondo momento, cioè dopo aver risolto il problema dell’adattamento umano alle condizioni estreme, la protezione dagli agenti esterni e la generazione di elementi indispensabili come l’ossigeno e l’acqua. Queste sono tutte condizioni da risolvere prima di pensare a qualsiasi evoluzione della conquista del pianeta rosso» spiega Raffaele Mugnuolo, che è anche responsabile scientifico dell’Agenzia Spaziale Italianaper la missione Esa ExoMars.
Marte, traguardo alla nostra portata a partire dal 1965, è ad oggi il pianeta più esplorato dal punto di vista robotico, ma i passi da fare per portarci i primi astronauti sono ancora molti. Se però immaginassimo di andare oltre lo sbarco marziano? È concepibile l’idea di un Mars Gateway, simile all’avamposto lunare a cui sta lavorando la Nasa ma in orbita attorno a Marte, che potrebbe fare da base per l’esplorazione di altri mondi?
«La mia immaginazione non riesce ad andare oltre – conclude Mugnuolo – perché le distanze sono ancora troppo elevate rispetto alle tecnologie oggi disponibili per viaggiare nello spazio. Non dimentichiamo che attualmente il viaggio più breve che possiamo immaginare per Marte dura sei mesi. Quindi in futuro l’immaginazione può lasciare spazio a qualsiasi prospettiva, però io vedrei più concreto uno scenario che considera il Lunar Gateway come punto di accesso. Il primo luogo di esplorazione e colonizzazione può essere appunto una base sulla superficie marziana».
Luna, orbita cislunare, Marte: le tappe per rendere l’essere umano una specie multiplanetaria sono quindi a loro volta costituite da tanti traguardi intermedi, che richiedono un utilizzo integrato delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Come è sempre stato per la storia dell’esplorazione umana, sul nostro pianeta e nell’Universo.