Si dirada la nebbia sulle caratteristiche della foschia che avvolge Plutone: tutto merito di Sofia, l’osservatorio stratosferico frutto della collaborazione tra la Nasa e l’agenzia spaziale tedesca Dlr, che ha effettuato una serie di osservazioni decisive. I dati raccolti da Sofia, con cui è stato possibile spiegare come si sia formata la nebbiolina del pianeta nano, sono stati analizzati nello studio “Haze in Pluto’s atmosphere: Results from Sofia and ground-based observations of the 2015 June 29 Pluto occultation”, pubblicato su Icarus; la ricerca è stata condotta da un team internazionale, coordinato dal Dipartimento di Scienze Planetarie del Mit.

Il gruppo di lavoro ha notato che la sottile foschia di Plutone è costituita da particelle minutissime, che, invece di ricadere sulla superficie del pianeta, rimangono nell’atmosfera per periodi piuttosto lunghi. Questi corpuscoli non diminuiscono nel tempo, come se si attivasse una sorta di meccanismo di ‘rifornimento’: secondo gli studiosi, questa scoperta farà rivedere le attuali conoscenze sull’atmosfera di Plutone e sulla sua evoluzione. Sofia ha osservato il pianeta nano appena due settimane prima dello storico sorvolo della sonda New Horizons della Nasa (luglio 2015), approfittando di un evento di occultazione (quando il corpo celeste è passato di fronte ad una stella distante). Gli strumenti dell’osservatorio hanno scrutato gli strati intermedi dell’atmosfera di Plutone nelle lunghezze d’onda della luce visibile e dell’infrarosso; questi dati sono stati poi combinati con quelli raccolti poi da New Horizons, nell’ultravioletto, per gli strati inferiori e superiori.

L’atmosfera del corpo celeste, costituita soprattutto da azoto e da piccole quantità di metano e monossido di carbonio, si è formata quando il ghiaccio di superficie si vaporizza per effetto della luce solare. Le particelle della foschia si producono negli strati alti dell’atmosfera, a oltre 30 chilometri di distanza dalla crosta, quando il metano e gli altri gas reagiscono alla luce solare, prima di ‘piovere’ dolcemente sul volto ghiacciato di Plutone. I dati di Sofia, inoltre, mostrano che le particelle sono estremamente piccole (appena 0,06-0,10 micron di spessore) e disperdono in particolar modo la luce blu: questo spiega il perché della tonalità della foschia in alcune immagini scattate da New Horizons.

Gli studiosi, quindi, si sono chiesti come queste dinamiche possano influenzare l’andamento dell’atmosfera di Plutone. Secondo alcune teorie, infatti, l’atmosfera dei pianeti nani potrebbe collassare man mano che si allontanano dal Sole, dato che il processo di vaporizzazione del ghiaccio di superficie subisce un rallentamento. Tuttavia, gli autori del saggio, analizzando di nuovo anche i dati di vecchie missioni aeree (come Kuiper), ipotizzano l’esistenza di fenomeni ciclici: infatti, hanno notato che la foschia, nel giro di pochi anni, si ispessisce e poi si assottiglia, con una produzione di particelle relativamente veloce. L’orbita eccentrica di Plutone, in questo processo di ‘regolamentazione’ dell’atmosfera, potrebbe avere un ruolo anche più incisivo rispetto alla distanza dal Sole. Infatti, l’orbita del pianeta fa sì che alcune sue aree ghiacciate siano maggiormente esposte alla luce solare in differenti momenti del percorso; quando tali zone vengono colpite dal Sole, l’atmosfera può espandersi e produrre più particelle, che diminuiscono quando l’irraggiamento declina. Questo processo si è verificato anche quando è cresciuta la distanza di Plutone dal Sole, ma non è ancora chiaro se questo ciclo possa continuare. Gli scienziati intendono continuare a monitorare questo aspetto del pianeta nano per capire se la sua atmosfera possa collassare più lentamente di quanto ipotizzato in altri studi o se possa in parte resistere.