I bacini d’acqua salata su Marte probabilmente non sono abitati dalla vita così come la conosciamo sulla Terra. E’ la conclusione di un team statunitense di scienziati del Southwest Research Institute, della Universities Space Research Association e dell’Università dell’Arkansas che ha realizzato un modello dell’atmosfera del Pianeta rosso per comprenderne l’abitabilità. I risultati dello studio, pubblicato questo mese su Nature Astronomy, dissipano anche le preoccupazioni sulla possibilità che la vita terrestre contamini i potenziali ecosistemi marziani.

Con le basse temperature ed il clima secco del pianeta, una goccia di acqua liquida sulla superficie marziana tenderebbe a disperdersi istantaneamente, a meno che non si tratti di acqua salata. La salamoia avrebbe una temperatura di congelamento più bassa e tenderebbe ad evaporare più lentamente dell’acqua liquida pura. I sali si trovano su Marte, si ritiene che quindi le salamoie si formino lì. «Abbiamo sviluppato un modello per prevedere dove, quando e per quanto tempo le salamoie rimangono stabili sulla superficie e sul sottosuolo poco profondo di Marte» ha spiegato Alejandro Soto del Southwest Research Institute «traendo informazioni sul clima da modelli atmosferici e da misurazioni di veicoli spaziali, il nostro team ha esaminato specifiche regioni su Marte per capire se potevano essere abitabili».

La forte aridità marziana ha bisogno di temperature più basse per consentire discrete attività idriche. «La formazione della salamoia da alcuni sali può portare ad acqua liquida oltre il 40% della superficie marziana, ma solo stagionalmente, durante il 2% dell’anno marziano» ha specificato Soto  «questo precluderebbe la vita come la conosciamo».

Mentre l’acqua liquida pura è instabile sulla superficie marziana, i modelli hanno mostrato che si possono formare delle salamoie stabili all’equatore e alle alte latitudini ma solo per un massimo di sei ore consecutive e con temperature ben al di sotto delle temperature più basse per sostenere la vita da noi conosciuta. Per gli studiosi, questi nuovi risultati riducono parte del rischio di esplorare il Pianeta Rosso, rendendo improbabile la possibilità che la vita terrestre contamini il pianeta.