Occhi puntati sullo stato di salute del Mar Glaciale Artico, la cui bianca copertura è stata messa a dura prova dalle temperature roventi dell’estate 2019: l’estensione della calotta, infatti, ha raggiunto un nuovo record negativo, dopo quelli del 2007 e 2016, evidenziando ulteriormente la crisi climatica in atto sul nostro pianeta. Le tecnologie spaziali possono però fare la differenza nelle attività di monitoraggio di aree terrestri molto fragili, come quelle appartenenti alla criosfera, perché consentono di raccogliere dati da un punto di vista privilegiato che permette sia un’efficace integrazione con altre tipologie di osservazione, sia lo sviluppo di applicazioni e servizi mirati alla difesa ambientale. Nasa ed Esa sono in prima linea in questo settore, con progetti di sorveglianza e ricerca il cui scopo è approfondire le dinamiche di fenomeni che apparentemente colpiscono una singola regione, ma in realtà influenzano tutto il pianeta perché il clima della Terra agisce come un sistema.
L’estate appena conclusa, una delle più calde in assoluto secondo l’agenzia americana Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration), ha avuto come conseguenza la drastica riduzione dell’ampiezza della calotta del Mar Glaciale Artico, che è arrivata a misurare solo 4,15 milioni di chilometri quadrati. Questo valore poco confortante emerge dalle analisi condotte sui dati del satellite IceSat-2 della Nasa, progettato per controllare i cambiamenti nella criosfera e lanciato poco più di un anno fa; lo studio è stato condotto dalla Nasa e dal Nsidc (National Snow and Ice Data Center), utilizzando anche i dati della missione aerea Operation IceBridge, sempre ‘targata’ Nasa. La calotta del Mar Glaciale Artico è una distesa ghiacciata che fluttua sulla superficie marina e ha un’estensione variabile a seconda delle stagioni; in condizioni normali, è più vasta e spessa durante l’autunno e l’inverno, mentre nelle altre stagioni tende ad assottigliarsi e a ridursi. Le bizzarrie del clima, però, hanno inciso profondamente su questo meccanismo, tanto che la decrescita si sta verificando anche nelle stagioni fredde con pesanti conseguenze sugli ecosistemi, sulle correnti oceaniche e sui fenomeni meteorologici. Gli esperti della Nasa, analizzando i dati satellitari, hanno riscontrato che la copertura glaciale ha imboccato un trend negativo e che al momento non si scorgono segni di recupero. Tuttavia, durante la scorsa estate, il ghiaccio ha in qualche modo tenuto perché non è stato ulteriormente ‘affaticato’ da eventi meteo estremi e l’effetto degli incendi boschivi in Siberia è stato molto contenuto, dato che a fine luglio l’incidenza del Sole sull’Artico era diminuita.
Un monitoraggio a lungo termine, che unisce dati satellitari e osservazioni sul campo, è quello che verrà effettuato dalla missione Mosaic (Multidisciplinary drifting Observatory for the Study of Arctic Climate), cui prende parte l’Esa. Si tratta di una spedizione tra i ghiacci artici, che per un anno vedrà protagonista la nave da ricerca Polarstern; il suo viaggio è cominciato lo scorso 20 settembre. La missione è guidata dall’Alfred Wegener Institute (Helmholtz Centre for Polar and Marine Research) e il contributo dell’Esa riguarda l’utilizzo dei dati dei satelliti CryoSat e Sentinel-1. Secondo i ricercatori dell’agenzia europea, la partecipazione a questa spedizione consentirà una fruttuosa osmosi tra diverse tecniche di osservazione e offrirà un’opportunità unica per validare le misurazioni effettuate dallo spazio e migliorare la modellistica relativa agli scenari climatici dell’Artico.