Alla vigilia dei 50 anni dal primo passo umano sulla Luna, un nuovo studio suggerisce come combattere gli effetti del “mal di spazio”. Restando cioè stabilmente ancorati al suolo terrestre dopo aver trascorso un periodo prolungato in assenza di gravità.  La ricerca, pubblicata oggi sulla rivista dell’American Heart Association Circulation, potrebbe aiutare gli astronauti che tornano da lunghe missioni spaziali. Come quella che intraprenderà domani 20 luglio Luca Parmitano, proprio nel giorno del cinquantesimo anniversario della storica missione Apollo 11.

“Uno dei più grandi problemi fin dall’inaugurazione dei primi programmi spaziali con equipaggio – spiega Benjamin Levine del Texas Health Presbyterian Hospital e leader dello studio – è stato lo svenimento degli astronauti una volta tornati a Terra. Più a lungo era durata la missione, maggiore la probabilità di soffrire di questi sintomi.”

Gli svenimenti al ritorno sulla Terra possono essere considerati effetti collaterali della cosiddetta sindrome da adattamento allo spazio, sensazione di disturbo sperimentata da diversi astronauti durante il processo di adattamento all’assenza di peso. Comunemente detta mal di spazio.

Lo studio di Levine e colleghi ha coinvolto 12 astronauti (8 uomini e 4 donne tra i 43 e i 56 anni) che hanno trascorso circa 6 mesi nello spazio, senza subire alcun sintomo di svenimento al rientro.  Ciascuno di loro aveva seguito un programma di allenamento fisico durante la missione di almeno due ore al giorno. Agli astronauti era anche stata somministrata un’infusione salina subito dopo l’atterraggio.

La pressione sanguigna degli astronauti è stata misurata su un periodo di 24 ore prima, durante e dopo il volo. I risultati mostrano un cambiamento minimo durante tutte le fasi di misurazione, il che può spiegare l’assenza di svenimento al rientro. Secondo i ricercatori, si tratta della prima dimostrazione empirica di un legame tra esercizio fisico e pressione del sangue durante l’esposizione prolungata alla microgravità.

“La cosa che mi ha sorpreso di più – commenta Levine – è stato il benessere complessivo di tutti gli astronauti dopo sei mesi nello spazio. È una prova dell’efficacia delle misure preventive: la combinazione di esercizio fisico e rifornimento di liquidi”.

Questi risultati potrebbero essere utili anche per il trattamento di pazienti con disturbi simili al mal di spazio. Ad esempio, l’ipotensione ortostatica è un’eccessiva caduta della pressione arteriosa quando si assume la posizione eretta. Sintomi più comuni sono offuscamento della vista e svenimento, dovuti appunto a un cambio improvviso del flusso sanguigno.

“Comprendere la fisiologia dei voli spaziali – conclude Levine – può aiutare a comprendere molte condizioni sperimentati dai non astronauti. Il programma di esercizi che abbiamo sviluppato per i programmi spaziali sta già aiutando persone che soffrono di tachicardia posturale ortostatica, e altri disturbi simili potrebbero essere trattati allo stesso modo. Mentre ci prepariamo a festeggiare il cinquantesimo anniversario del primo sbarco sulla Luna, è emozionante pensare che l’esplorazione spaziale possa portare a importanti progressi medici qui sulla Terra.”