Meteo perturbato – ma ad intermittenza – sull’ottavo pianeta del Sistema Solare: è quanto emerge da un’analisi condotta sui dati raccolti nel corso degli anni da Hubble, che ha osservato Nettuno per la prima volta nel 1994. I risultati dell’indagine, con cui i planetologi del Centro Goddard della Nasa e dell’Università della California hanno cercato di far luce sulle peculiarità del corpo celeste, sono stati pubblicati ieri su Geophysical Research Letters (articolo: “Formation of a New Great Dark Spot on Neptune in 2018”). Prima del telescopio Nasa-Esa, il meteo di Nettuno era stato osservato dalla sonda Voyager 2 della Nasa, che il 25 agosto 1989 effettuò un sorvolo, svelando i principali tratti di quello che dal 2006 è diventato l’ultimo pianeta del nostro sistema planetario. In quella storica visita a Nettuno, al momento l’unica da parte di un manufatto umano, la sonda scattò delle immagini in cui sono evidenti due tempeste giganti in ‘maturazione’ nell’emisfero meridionale; gli studiosi le definirono la “Grande Macchia Nera” e “Macchia Nera 2”.
Di queste strutture, dopo cinque anni, non rimaneva nulla: nelle immagini nitide scattate da Hubble nel 1994 non vi era traccia delle due perturbazioni. I planetologi, abituati alla longevità delle tempeste di Giove, rimasero molto sorpresi e iniziarono a lavorare su una serie di simulazioni informatiche per comprendere i meccanismi sottesi a questa sparizione. Gli autori dell’articolo, impegnati anche sul progetto Opal (Outer Planet Atmospheres Legacy), hanno quindi cominciato a scandagliare le immagini di Hubble, trovando dati utili sia per osservare le fasi di formazione delle tempeste, sia per stimare la frequenza con cui esse si presentano e la loro durata. Nel 2015 il team ha intrapreso una verifica annuale delle immagini di Nettuno, scoprendo una piccola macchia nera nell’emisfero sud; la chiazza, tenuta costantemente sotto controllo, è poi scomparsa finché nel 2018 ne è apparsa una nuova, ad una latitudine nord di 23 gradi.
In questo caso, è stato possibile monitorare il momento della nascita. Prima della comparsa della macchia, i planetologi hanno notato la presenza, nella medesima zona, di una serie di piccole nubi bianche, costituite da cristalli di ghiaccio di metano. Questo particolare ha indotto i ricercatori a pensare che le chiazze scure possano originarsi nelle pieghe dell’atmosfera di Nettuno, molto più in profondità di quanto si ritenesse. Inoltre, grazie ad Hubble, è stato notato che la macchia ha seguito un percorso sinuoso, spostandosi – nel giro di circa 20 ore – verso est e con un ritmo leggermente inferiore rispetto ai forti venti di Nettuno. Le folate del gigante ghiacciato, a differenza di quanto avviene sulla Terra, si muovono in bande molto ampie intorno al pianeta, mandando lentamente alla deriva, lungo la latitudine, le tempeste come la Grande Macchia Nera. Alla luce di queste informazioni, gli studiosi ipotizzano che le nuove tempeste facciano capolino su Nettuno ogni 4 o 6 anni; ognuna di esse può avere una durata di 2 anni fino ad un massimo di 6. Le condizioni atmosferiche di Nettuno sono in buona parte ancora poco conosciute, ma sono ritenute un ambito di ricerca importante per le implicazioni nello studio degli esopianeti, specie di quelli simili al gigante ghiacciato.