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Crescono le prove che sotto la superficie ghiacciata di Ariel, una delle principali lune di Urano, si trovi (o si sia trovato) un vasto oceano sotterraneo. Secondo una nuova ricerca pubblicata su Icarus, questo mondo d’acqua potrebbe aver raggiunto in passato una profondità di almeno 170 chilometri: un abisso se confrontato con l’Oceano Pacifico, che ha in media ‘solo’ 4 chilometri di profondità.

Ariel è il secondo più vicino dei cinque grandi satelliti uraniani e il quarto per dimensioni. È anche il più luminoso e – come dimostrano le immagini inviate dalla sonda Voyager 2 nel 1986 – è un mondo complesso e dinamico, con segni evidenti di fratture tettoniche, creste e possibili fenomeni di criovulcanismo. Un paesaggio dove convivono regioni antiche, craterizzate e aree molto più giovani e lisce, segno di un’attività geologica recente. Studi successivi hanno confermato questa impressione: sia Ariel che Miranda, un’altra luna di Urano, mostrano superfici relativamente giovani e la loro morfologia fa pensare che abbiano subìto uno o più eventi di riscaldamento in tempi geologici recenti, capaci di rimodellarne il volto.

Per spiegare le fratture e le deformazioni osservate, il team ha ricostruito i possibili scenari del passato di Ariel, analizzando sia la sua struttura interna che l’eccentricità della sua orbita. Secondo i modelli, in passato l’orbita di Ariel doveva avere un’eccentricità di circa 0,04, circa 40 volte maggiore dell’attuale. Sembrerebbe un valore modesto, ma sufficiente ad amplificare enormemente le sollecitazioni mareali esercitate da Urano. Per fare un paragone, l’orbita di Ariel sarebbe stata quattro volte più eccentrica dell’orbita di Europa, la famosa luna di Giove tormentata dalle maree che le conferiscono un aspetto screpolato.
Queste forze mareali ‘strizzano’ periodicamente Ariel, che durante l’orbita passa da una forma più sferica a una leggermente allungata, tornando poi indietro man mano che si avvicina o si allontana da Urano. Lo stress accumulato in superficie genera fratture, creste e deformazioni: tracce di un passato dinamico che ancora oggi è possibile osservare.

«Per creare quelle fratture, serve o uno strato di ghiaccio molto sottile sopra un oceano molto grande, oppure un’eccentricità più alta e un oceano più piccolo» spiega Alex Patthoff, del Planetary Science Institute. «Ma in ogni caso, occorre un oceano per spiegare le fratture che vediamo oggi sulla superficie di Ariel».

La stima più probabile parla di un bacino profondo almeno 170 chilometri, attivo in tempi geologici recenti. Questo renderebbe Ariel e Miranda i candidati ideali a ospitare mondi oceanici ‘gemelli’ nel sistema di Urano. Il limite principale è che finora conosciamo solo gli emisferi meridionali dei due satelliti, esplorati fugacemente 40 anni fa da Voyager 2.

«I nostri risultati ci permettono di formulare previsioni su cosa potrebbe osservare una futura sonda negli emisferi settentrionali ancora non mappati, come la posizione di fratture e creste», conclude Tom Nordheim, co-autore dello studio. «In definitiva, dobbiamo solo tornare nel sistema di Urano e verificare con i nostri occhi».

 

In apertura: illustrazione di Urano e di una delle sue lune, Ariel. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/Psi/Mikayla Kelley/Peter Buhler.