Incursioni frequenti e non molto cortesi, avvenute in maniera costante e tali da condizionare la morfologia di chi le ha subite: i poco graditi ‘visitatori’ sono gli asteroidi che, negli ultimi 600 milioni di anni, avrebbero impattato sulla superficie di Marte con una certa regolarità.

Questa ipotesi, che prospetta una situazione diversa rispetto a precedenti teorie, è al centro di un nuovo studio di Earth and Planetary Science Letters (articolo: “Has the impact flux of small and large asteroids varied through time on Mars, the Earth and the Moon?”); l’indagine, curata da un gruppo di lavoro internazionale, è stata coordinata dalla Curtin University (Perth, Australia) e si è basata su un algoritmo sviluppato dall’ateneo.

La ricerca si è concentrata sulle collisioni tra i piccoli corpi celesti e il ‘volto’ del Pianeta Rosso, da cui sono derivati i crateri da impatto, e ha preso in esame oltre 500 cavità di grandi dimensioni; l’algoritmo è stato utilizzato per conteggiare automaticamente queste strutture, partendo da immagini in alta risoluzione. Precedenti studi in materia avevano prospettato che la frequenza delle collisioni non fosse stata costante e avesse avuto dei picchi; questi apici sarebbero stati connessi alla produzione di detriti che, a loro volta, avrebbero influito sulla formazione dei crateri.

Secondo gli autori del nuovo saggio, invece, non ci sarebbero state variazioni così pronunciate nell’arco di molti milioni di anni e i detriti non avrebbero avuto un ruolo molto incisivo. Tra l’altro, il team della ricerca sostiene che il conteggio dei crateri da impatto su una superficie planetaria possa essere uno strumento utile sia per datare con precisione le formazioni geologiche (come canyon, fiumi e vulcani), sia per prevedere quando avverranno future collisioni e quali potranno essere le loro proporzioni.

L’algoritmo in questione, inoltre, non procede solo al conteggio, ma rileva dati utili a tracciare un identikit dei crateri come le misure, la collocazione temporale e la frequenza degli asteroidi che li hanno prodotti. Gli studiosi ritengono che tale strumento possa essere utilizzato proficuamente anche per l’analisi di altre superfici di corpi celesti, compresa la Luna. L’algoritmo, inoltre, potrebbe avere future applicazioni pratiche anche nel campo dell’osservazione della Terra, come il monitoraggio del suolo e la sua classificazione (ad esempio, per un migliore utilizzo delle superfici agricole), il rilevamento di incendi boschivi e la protezione degli ecosistemi più fragili.

Lo studio di corpi che hanno mantenuto antiche testimonianze del loro passato geologico, come Marte – concludono i ricercatori – è di grande importanza anche per comprendere come si è evoluto il nostro pianeta, la cui storia più antica è stata cancellata dalla tettonica a placche.

In alto: uno dei crateri marziani presi in esame per lo studio (Crediti: Curtin University)