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La Luna oggi non possiede un campo magnetico, in passato però potrebbe averne avuto uno durato miliardi di anni. Probabilmente era generato dagli stessi processi che producono quello terrestre e cioè dei vorticosi movimenti del nucleo fuso che innescano il cosiddetto ‘effetto dinamo’, ma al momento non abbiamo nessuna certezza. Il nucleo lunare è molto piccolo, occupa circa il 20% del diametro del satellite contro il 50% di quello terrestre, di conseguenza si dev’essere freddato in tempi relativamente brevi e la solidificazione (sebbene alcuni studi ipotizzino che una minima quantità fusa persista ancora oggi), ha interrotto i meccanismi di generazione del dipolo. Ma se il campo magnetico non esiste più da moltissimo tempo, come mai gli astronauti delle missioni Apollo hanno riscontrato magnetismo nelle rocce lunari?

Nelle decadi passate sono state formulate diverse spiegazioni, più o meno tutte confutate nel tempo, mentre oggi forse abbiamo finalmente una risposta definitiva. Arriva da un team di scienziati del Massachusetts Institute of Technology (Mit), che ha formulato un’ipotesi recentemente pubblicata su Science Advances, basata su simulazioni computerizzate. Secondo le loro ricerche, coordinate da Isaac Narrett del Dipartimento delle Scienze Planetarie, della Terra e dell’Atmosfera del Mit e prima firma dello studio, il magnetismo presente nelle rocce lunari raccolte dagli astronauti non può essere solo un residuo dell’antico campo magnetico. Dev’esserci stato qualcos’altro che si è aggiunto, amplificando il fenomeno fino lasciare un’impronta nelle rocce che è possibile rilevare ancora oggi.
L’evento in più, secondo gli studiosi, sarebbe la caduta di un enorme asteroide. L’impatto violentissimo avrebbe vaporizzato all’istante il materiale presente sulla porzione di superficie colpita, producendo una nuvola di particelle cariche e incandescenti, nota come plasma, che avrebbe iniziato a spargersi fino ad avvolgere l’intero corpo celeste. In particolare, si sarebbe concentrato nel punto esattamente opposto a quello dell’impatto, così come è accaduto per le onde sismiche prodotte dallo scontro. Queste vibrazioni, una volta raggiunti gli antipodi, avrebbero eccitato gli elettroni delle rocce locali, dotandole di una carica magnetica che è riuscita a durare fino ai giorni nostri, diversamente da quella primaria generata dall’impatto che si è dissipata in tempi brevi.

Il lato nascosto della Luna. Il magnetismo riscontrato dalle sonde orbitanti è concentrato particolarmente su questo versante

Il lato nascosto della Luna. Il magnetismo nelle rocce riscontrato dalle sonde orbitanti è  particolarmente concentrato su questo versante
(Crediti: Nasa/Gsfc/Arizona State University)

 

Questa catena di eventi si sarebbe verificata in un tempo inferiore a un’ora, la zona dove sarebbe avvenuto lo scontro con l’asteroide potrebbe essere quella che oggi chiamiamo Mare Imbrium, ma non ne abbiamo certezza perché anomalie magnetiche crostali sono state trovate anche agli antipodi di altri grandi bacini come Serenitatis, Crisium e Orientale.
«Ci sono ampi aspetti del magnetismo lunare che restano ancora incomprensibili – spiega Isaac Narret – ma la maggioranza dei campi magnetici forti che sono stati misurati dalle sonde possono essere descritti da questi processi, specialmente riguardo il lato nascosto della Luna».
L’idea che ci sia stato un impatto con un corpo celeste vagante alla base del magnetismo residuo nelle rocce lunari non è una novità nel mondo scientifico. Nel 2020 gli scienziati Rona Oran and Benjamin Weiss, che sono anche co-autori del nuovo studio appena pubblicato, avevano  già tentato di spiegare il fenomeno ipotizzando uno scontro catastrofico, ma nella loro versione questo avrebbe portato a un esito differente, rinforzando temporaneamente un debole campo magnetico già esistente e prodotto dal Sole. Tentarono una verifica usando le simulazioni, ma oltre a non ottenere riscontri conclusero erroneamente che il plasma generato dall’impatto non avesse avuto alcun ruolo, cosa che invece risulta centrale, insieme alle conseguenze sismiche, in questa nuova ipotesi.
«Per decenni il magnetismo lunare residuo è stato una specie di mistero – ha concluso Isaac Narret – proviene forse dalla dinamo che era nel nucleo o da un impatto? Oggi possiamo affermare che è un po’ uno e un po’ l’altro. E questa soluzione è anche testabile, che è buono».

Ciò che rende oggi le rocce lunari dotate di un blando magnetismo, a dispetto della totale assenza di campo magnetico attorno al nostro satellite, sembra essere quindi il risultato di una combinazione di fattori accaduti in un lontano passato. Lo studio degli scienziati del Mit offre una spiegazione più che plausibile, la più soddisfacente che abbiamo finora e confortata dalle simulazioni, specialmente riguardo la concentrazione di magnetismo nelle rocce sul lato opposto a quello visibile.
Per avere una prova ancora più solida e attendibile, bisognerebbe prelevare fisicamente dei campioni di rocce poste sul lato nascosto, portarli nei laboratori terrestri e sottoporli ad analisi approfondite, invece di basarci esclusivamente su ciò che abbiamo recuperato durante il programma Apollo e sulle mappature fatte a distanza dai satelliti. Cercando in zone mirate degli indizi di alto magnetismo residuo o di trasformazioni strutturali dovute a forti shock, si avrebbero sicuramente riscontri importanti.
Al momento non sono previste missioni di tipo sample return sul versante nascosto della Luna, ma le zone che interessano il programma della Nasa Artemis, e cioè il polo sud del satellite, potrebbero già essere prese in considerazione per recuperare materiale adeguato.

 

Immagine in apertura: Campioni di rocce lunari raccolti dagli astronauti dell’Apollo 11 il 20 luglio 1969
Crediti: Nasa