Il suo sguardo acuto si è spinto verso le pieghe recondite dell’Universo lontano e si è posato su una ‘compagnia’ di sei briose galassie di tipo starburst, individuando – per la prima volta – la presenza di molecole di idruro di carbonio (Ch+) in vaste riserve di gas freddo e turbolento. Tali molecole gettano nuova luce sui processi di formazione stellare. Il fine osservatore in questione è il telescopio Alma (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), che è stato utilizzato per questa indagine da un team di astronomi coordinato dall’Ecole Normale Supérieure et Observatoire di Parigi. I risultati della ricerca sono stati illustrati nell’articolo “Large turbulent reservoirs of cold molecular gas around high redshift starburst galaxies”, pubblicato ieri sulla rivista Nature.

Le galassie al centro dello studio sono classificate come starburst, vale a dire soggetti che presentano un tasso di formazione stellare particolarmente intenso in confronto a realtà più calme, come la Via Lattea. Le starburst, quindi, costituiscono un terreno di studio privilegiato per approfondire i meccanismi di accrescimento delle galassie e le modalità con cui interagiscono i loro gas, polveri, stelle e buchi neri. La galassia più nota del sestetto osservato da Alma è Smm J2135-0102, soprannominata ‘Cosmic Eyelash’ per il suo look che ricorda appunto delle ciglia. L’idruro di carbonio Ch+, scoperto nei primi anni ’40 del XX secolo, è uno ione della molecola Ch, una delle prime tre ad essere individuate nel mezzo interstellare. Ch+ è una molecola che presenta delle peculiarità, in quanto richiede molta energia per formarsi ed è estremamente reattiva; di conseguenza, spiegano gli esperti, ha una vita molto breve, non può essere trascinata lontano dall’area in cui ha avuto origine (piccole zone in cui i movimenti impetuosi dei gas si diradano) e tende a sparire rapidamente. Tale molecola, quindi, può tracciare il flusso di energia nelle galassie e nelle loro zone circostanti.

Il Ch+ osservato da Alma mostra onde d’urto dense e sostenute da venti caldi e rapidi che si formano nelle nursery stellari delle galassie. I venti in questione spirano attraverso le galassie e ne portano il materiale all’esterno, ma il loro movimento è così impetuoso che una parte di questo materiale può essere nuovamente catturata dall’attrazione gravitazionale esercitata dalle galassie stesse. Il materiale si raduna in ampie e irrequiete riserve di gas freddo e a bassa densità, che si protendono dalle regioni di formazione degli astri per oltre 30mila anni luce. Secondo gli autori del paper, i venti galattici, provocando turbolenze in queste riserve, alimentano la fase di starburst. Gli studiosi ritengono che questa scoperta sia particolarmente significativa per comprendere al meglio come agisca il flusso di materia intorno alle galassie starburst più vivaci presenti nell’antico Universo.