Quanto rapidamente si sta espandendo l’Universo? Questa domanda tormenta gli astronomi da circa un secolo, e ha dato vita, negli anni, a diversi studi che forniscono stime differenti. Un team internazionale di astronomi ha sviluppato un nuovo metodo per trovare una risposta e forse per fare un passo verso la soluzione dell’enigma. I loro risultati sono stati pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Il succo della questione ruota attorno alla costante di Hubble, un numero che mette in relazione tra loro le distanze delle galassie con lo spostamento verso il colore rosso della loro luce. Lo spostamento verso il rosso, o redshift, è dovuto al fatto che la galassia si allontana, e la sua luce viene “stirata” verso frequenze maggiori, ovvero quelle associate al colore rosso. Le stime attuali della costante di Hubble vanno da circa 67 a 73 chilometri al secondo per megaparsec (1 megaparsec equivale a 3.26 milioni di anni luce), e questo significa che due galassie lontane tra loro 1 megaparsec si allontanano una dall’altra a una velocità che va da 67 a 73 chilometri al secondo.

«La costante di Hubble è strettamente legata alla scala fisica dell’Universo», dichiara Simon Birrer, ricercatore postdoc dell’Università della California a Los Angeles (Ucla) e primo autore dello studio. «Senza un valore preciso di questa costante gli astronomi non sono in grado di determinare con precisione le dimensioni delle galassie lontane, l’età dell’Universo, o la sua storia di espansione». La maggior parte dei metodi utilizzati per ottenere una stima della costante di Hubble utilizza due ingredienti: una misura di distanza per una sorgente di luce e il suo redshift. Andando a caccia di nuove sorgenti luminose, ovvero fonti non sfruttate prima per stimare la costante di Hubble, Birrer e i suoi colleghi si sono rivolti a una speciale classe di quasar, quella in cui la luce viene piegata dalla gravità di una galassia interposta tra noi e la sorgente, “sdoppiandola” ai nostri occhi.

Questo sdoppiamento comporta che la luce percorra strade diverse per arrivare fino a noi, e che dunque impieghi tempi differenti per raggiungerci. Quando la luminosità del quasar varia, vedremo queste variazioni prodursi in tempi diversi dai due punti luminosi. Il ritardo misurato ci può fornire informazioni sia sul campo gravitazionale della galassia frapposta tra noi e il quasar, sia sul percorso tracciato dalla luce, e quindi per ottenere una misura della distanza tra la Terra e la sorgente.

Il team di scienziati che ha firmato l’articolo fa parte della collaborazione internazionale H0liCOW, che sta per H0 Lenses in COsmograil’s Wellspring. Questo gruppo di ricercatori aveva già utilizzato in passato questa tecnica per studiare quasar con immagini quadruplicate, ovvero per i quali l’immagine appare suddivisa in quattro, ma questo tipo di sorgenti non è così comune e si è preferito concentrarsi su quelle sdoppiate, che si pensa siano cinque volte più abbondanti. Il quasar scelto per questa analisi si chiama Sdss J1206+4332, e gli scienziati hanno sfruttato dati provenienti dal telescopio spaziale Hubble, e dagli osservatori terrestri Gemini e Keck.

I ricercatori hanno raccolto immagini del quasar ogni giorno per diversi anni, per poterne misurare con precisione il ritardo temporale tra i due punti luminosi, poi hanno combinato i risultati con i dati precedentemente raccolti dalla collaborazione H0liCOW su tre quasar con immagini quadruple. La stima ottenuta è di circa 72.5 chilometri al secondo per megaparsec. «La bellezza di questa misura è che è altamente complementare e indipendente dalle altre», spiega , professore alla Ucla e coautore dello studio. Il valore trovato è in linea con ciò che è stato finora ricavato usando le supernovae e le loro distanze, ed entrambe queste stime sono circa l’8 percento superiori a quelle basate sulla radiazione di fondo cosmico alle microonde, il debole segnale che ci arriva da quando la luce ha iniziato a viaggiare liberamente nello spazio per la prima volta. «Se c’è una differenza reale tra questi valori, significa che l’Universo è un po’ più complicato di quanto pensiamo», dice Treu. «D’altra parte, potrebbe anche essere che una delle misure è sbagliata, o che lo sono tutte e tre». Gli scienziati sono a caccia di altri quasar per migliorare la loro stima della costante di Hubble.