Come può nascere un’isola? A Tonga, ad esempio, un vulcano sottomarino ha eruttato all’incirca tre anni fa. Il flusso di vapore, cenere e roccia espulso dal vulcano si è innalzato in cielo fino a una quota di 9 chilometri. Quando, dopo circa un mese, le ceneri si sono depositate, è apparsa una nuova isola che raggiungeva i 120 metri di quota massima. L’isola è stata chiamata Hunga Tonga-Hunga Ha’apai e gli scienziati le avevano dato inizialmente pochi mesi di vita, mentre oggi un nuovo studio prevede una durata dai 6 ai 30 anni. Lo studio, presentato all’American Geophysical Union Fall Meeting di New Orleans nei giorni scorsi, è stato possibile grazie alle osservazioni effettuate da satellite. La prolungata persistenza di questa isola offre nuove prospettive sui processi di erosione che plasmano la superficie del nostro pianeta. Comprendere questi processi può aiutarci a capire meglio ciò che accade in altri luoghi del sistema solare, come Marte.
Hunga Tonga-Hunga Ha’apai è la terza isola vulcanica di origine surtesaiana emersa negli ultimi 150 anni e con una longevità superiore a qualche mese. A partire dalla sua formazione, la nuova isola è stata monitorata da osservazioni satellitari ad alta risoluzione, utilizzando sensori ottici e radar. Grazie ai dati raccolti, il team guidato da Jim Garvin del Goddard Space Flight Center della NASA ha potuto realizzare mappe tridimensionali della topografia dell’isola, studiando in dettaglio come cambiavano nel tempo le sue coste e il suo volume sopra al livello del mare. Gli scienziati hanno considerato due possibili scenari che possono spiegarne la durata di vita: il primo chiama in causa l’abrasione da parte delle onde, che potrebbe consumare l’isola in 6-7 anni, mentre il secondo considera un tasso di erosione più lento, con il quale si arriva a una vita di 25-30 anni.
I cambiamenti più significativi sull’isola sono avvenuti nei primi sei mesi, ma le immagini analizzate nei mesi scorsi hanno rivelato cambiamenti morfologici importanti anche nel periodo successivo. A maggio scorso, ad esempio, il bordo sud-orientale della parte interna del cratere è stato portato via dall’Oceano Pacifico, creando un’apertura dal lago interno al cratere verso l’oceano. Gli scienziati pensavano che quella sarebbe stata la fine dell’isola, ma a giugno le immagini satellitari hanno mostrato la formazione di un banco di sabbia a richiudere il cratere. Sotto il livello del mare, la base della formazione vulcanica che ha dato vita all’isola si estende per oltre 1 chilometro dal litorale fino alla base della caldera più grande, che misura circa 5 chilometri. Vi sono anche prove di eruzioni passate, da altre conche più piccole posizionate attorno al bordo della caldera.
«Tutto ciò che sappiamo di quello che accade su Marte si basa sull’esperienza maturata nell’interpretazione dei fenomeni terrestri», spiega Garvin. «Abbiamo ottime ragioni per pensare che ci siano state nel passato di Marte delle eruzioni, avvenute in un periodo in cui la sua superficie ospitava ampi bacini d’acqua. Possiamo sfruttare questa nuova isola e la sua evoluzione come modo per testare se alcuni di questi bacini fossero ambienti oceanici o laghi effimeri (ovvero depressioni poco profonde che si riempiono d’acqua durante le piogge e poi si essicano rapidamente)». Ambienti come questi, conclude il ricercatore, combinati con il calore prodotto dai processi vulcanici, possono rappresentare luoghi privilegiati per la ricerca di prove di vita passata.