di Roberto Battiston
«Bip…bip…bip». Il segnale emesso dallo Sputnik 1 lanciato dall’Unione Sovietica nella notte tra il 4 e il 5 ottobre di sessant’anni fa segnava l’inizio della corsa allo spazio e dell’utilizzo dei satelliti. Ma non solo. Dallo studio ovale della Casa Bianca al Pentagono, dal Congresso al Dipartimento di Stato, quel “bip” ripetuto 3 volte al secondo, era l’annuncio che Mosca aveva raggiunto una superiorità strategica: era la dimostrazione che i missili balistici intercontinentali sovietici potevano colpire gli Stati Uniti come e quando volevano. Le immagini di repertorio mostrano i cittadini americani che scrutano il cielo a occhio nudo o con binocoli e cannocchiali di ogni genere. Gli sguardi sono curiosi e increduli, i volti sono tirati. Quelle immagini in bianco e nero ci restituiscono una popolazione abituata alla paura dell’olocausto nucleare. Già dal 1951 negli Stati Uniti era in funzione il Conelrad (Control of Electromagnetic Radiation), un sistema che consentiva al governo di interrompere tutte le trasmissioni radio e tv per trasmettere un segnale di emergenza che avvertisse tutti i cittadini di scappare nei rifugi antiatomici. Fortunatamente il Conelrad non venne mai attivato, ma fu collaudato regolarmente per insegnare agli americani a riconoscerlo. Un monito inquietante che ricordava a tutti che la vita quotidiana degli anni Cinquanta, laboriosamente dedicata (non solo in America) alla ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale, contemplava anche la possibilità del conflitto atomico.
La classe dirigente di Washington, ben consapevole di queste implicazioni reagì con sangue freddo, a partire da Dwight D. Eisenhower, il brillante e diplomatico generale che aveva sconfitto i nazisti. Tre giorni dopo il lancio dello Sputnik, il 7 ottobre, in un messaggio radiotelevisivo alla nazione sulla “scienza nella sicurezza nazionale” Eisenhower rassicurò gli americani e gli alleati: «È mia convinzione, sostenuta da consulenti scientifici e militari, che, sebbene i sovietici siano abbastanza avanti nel settore missilistico, e che lo sono certamente nello sviluppo dei satelliti, oggi la forza militare di tutto il mondo libero è decisamente più grande di quella dei paesi comunisti». Con quelle parole di Eisenhower sottolineava l’importanza della scienza – in questo caso della ricerca spaziale – nelle attività dell’uomo, sia quelle legate alla sicurezza che quelle destinate alla conoscenza e alla creazione di nuovi e utili servizi per la società. Da quel 4 ottobre 1957 la storia ha infatti preso un altro corso. Con alterne vicende, la competitiva e strategica corsa allo spazio – vinta dagli Stati Uniti con l’allunaggio di Armstrong, Buzz e Aldrin – si è arricchita grazie alla preziosa collaborazione tra le più importanti agenzie spaziali del mondo (tra cui quella italiana). Un sforzo culminato nella Stazione Spaziale Internazionale, che grazie al suo successo tecnologico, scientifico e diplomatico ha visto recentemente l’unanime decisione dei paesi partecipanti, tra cui l’Italia, sul prolungamento della sua attività operativa almeno fino al 2024. Ma ora si sta voltando pagina. All’International Astronautical Congress che si è appena svolto Adelaide in Australia si è discusso del futuro dell’esplorazione umana dello spazio profondo.
Entro i prossimi dieci anni gli astronauti passeranno dalle orbite basse della Stazione Spaziale Internazionale a quelle cislunari, orbite che disegnano un otto tra la Terra e la Luna, un passo fondamentale per arrivare all’esplorazione di Marte, il pianeta del Sistema Solare scientificamente più interessante per la ricerca delle origini della vita e per una possibile colonizzazione umana. Una discussione e uno sforzo che, a differenza di sessanta anni fa, vede insieme tutte le più importanti agenzie spaziali del mondo, cinesi e indiani inclusi. Un piano per costruire a partire dal 2030 basi cislunari per poi creare una base lunare, al polo sud. Avamposti da cui lanciare tra gli anni ‘30 e ’40 la conquista del Pianeta Rosso. Che il mondo dello spazio sia cambiato è anche testimoniato dal fatto che ad Adelaide l’Australia ha annunciato la costituzione della sua agenzia spaziale, e che la Nuova Zelanda è entrata a far parte della International Astronautical Federation. Il nuovo mondo si affaccia allo spazio in maniera sistematica, con nuove intelligenze, nuove industrie e nuove opportunità. Un fatto molto positivo che fa ben sperare per il futuro della scienza e dell’economia dello spazio. Intanto celebriamo e onoriamo lo Sputnik, che in russo significa compagno di viaggio. Il primo dei tanti satelliti che ogni giorno accompagnano il viaggio della più bella e complessa astronave che ci sia: la Terra.