Una fitta rete di canali si estende sulle dune del Pianeta Rosso, creando complessi intrecci: questi ‘ricami’, da tempo nel mirino degli studiosi, sono al centro di una recente indagine di Geophysical Research Letters che ha provato a delinearne il processo di formazione. La ricerca, svolta da un team internazionale, è stata coordinata dal Dipartimento di Geografia Fisica dell’Università di Utrecht (Paesi Bassi) e si è basata su test in un ambiente marziano simulato.
Secondo gli autori, i canali sarebbero prodotti dal movimento di blocchi ghiacciati di anidride carbonica, che ‘scolpiscono’ le dune in base a dei meccanismi non riconducibili a nessun fenomeno geologico terrestre. Per ricreare il processo, i ricercatori si sono recati presso i laboratori della Open University di Milton Keynes (Regno Unito), dove è presente una ‘Camera di Marte’: si tratta di una struttura che simula l’ambiente del Pianeta Rosso dove è stato possibile riprodurre il processo ipotizzato dagli studiosi. Nello specifico, è stata ricreata una duna con differenti tipi di pendenza finché non è stata individuata quella adatta per il test.
Il ghiaccio si forma sulle dune nel corso dell’inverno marziano, quando le temperature scendono anche a meno 120°C. Al termine della stagione rigida le dune si riscaldano, il ghiaccio si stacca e la sua base, a causa delle differenze di temperatura con la sabbia, si trasforma in gas (sublimazione). La pressione sviluppata dal gas ‘spara’ la sabbia in tutte le direzioni, mentre quanto resta del blocco di ghiaccio sprofonda nella duna e rimane imprigionato in un cunicolo; intanto, il processo di sublimazione continua e la massa di ghiaccio comincia gradualmente a muoversi verso il basso, lasciando dietro di sé un lungo canale. Quando il blocco raggiunge la base della duna e cessa di muoversi, il ghiaccio continua a sublimare fino alla completa evaporazione dell’anidride carbonica. Della massa iniziale rimane solo una cavità nella sabbia.
«Condurre ricerche sulla formazione delle strutture geologiche di altri pianeti è un modo per uscire dagli schemi utilizzati per pensare alla Terra – ha commentato Lonneke Roelofs, ricercatrice all’Università di Utrecht e prima autrice dello studio – Ciò consente di porsi domande leggermente diverse, che a loro volta possono fornire nuove informazioni sui processi che avvengono qui sul nostro pianeta».
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In alto: dune e canali di Marte visti da Hirise, la fotocamera della sonda Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa (Crediti: Nasa/Jpl/Università dell’Arizona)