La risposta è nelle stelle, o quasi. Da miliardi di anni, il nostro pianeta è costantemente colpito da minuscole particelle provenienti dallo spazio. Alcune di queste, note come micrometeoriti, si incendiano quando attraversano l’atmosfera terrestre (quelle che noi osserviamo sotto forma di stelle cadenti). Ma ciò che accade a livello microscopico durante questo ingresso va ben oltre un semplice spettacolo notturno.
Tra le varie tipologie di micrometeoriti, un ruolo di particolare rilievo è ricoperto dalle sferule cosmiche di tipo I. Si tratta di piccole particelle metalliche extraterrestri, composte principalmente da ferro (Fe) e nichel (Ni), che si fondono completamente durante il loro passaggio nell’atmosfera. In questo processo, ferro e nichel si ossidano, legandosi all’ossigeno presente nell’aria terrestre. Questa reazione chimica dà origine a sferule di ossidi, grandi appena pochi decimi di millimetro, in cui l’ossigeno incorporato proviene esclusivamente dall’atmosfera. Di conseguenza, queste sferule rappresentano una firma chimica dell’atmosfera del passato, diventando strumenti ideali per ricostruirne la composizione.
Una volta cadute sulla superficie terrestre, le sferule si depositano negli strati rocciosi, dove possono rimanere conservate per milioni o addirittura miliardi di anni. Se recuperate da sedimenti geologicamente databili, offrono l’opportunità di accedere a un archivio chimico dell’atmosfera antica. Ed è proprio questo che ha fatto un gruppo di ricerca internazionale guidato dall’Università di Göttingen, in collaborazione con l’Università di Pisa, l’Open University e l’Università di Hannover. Il team ha sviluppato un metodo per analizzare con estrema precisione la composizione isotopica di ossigeno e ferro, e le eventuali anomalie nei loro rapporti, contenute in queste sferule fossili. Questi valori isotopici forniscono informazioni sulla composizione dell’ossigeno molecolare presente nell’atmosfera al momento della formazione delle sferule, ma anche sull’attività biologica globale (come la fotosintesi delle piante), che influisce direttamente sul bilancio dell’ossigeno atmosferico. L’articolo che ne parla è stato pubblicato su Communications Earth & Environment.
I ricercatori hanno analizzato sferule provenienti da sedimenti risalenti a due epoche geologiche: il Miocene (circa 8,5 milioni di anni fa) e il tardo Cretaceo (circa 87 milioni di anni fa). I risultati suggeriscono che in entrambi i periodi erano presenti livelli moderati di CO₂, coerenti con quanto noto da altri indicatori paleoclimatici. Nonostante le dimensioni microscopiche, queste micrometeoriti intatte possono preservare tracce isotopiche affidabili per milioni di anni. Tuttavia, lo studio ha anche evidenziato delle criticità: molte sferule, pur mantenendo la forma originaria, risultano alterate da processi geochimici terrestri, come l’interazione con l’acqua o la mineralizzazione. Per questo motivo, è fondamentale una rigorosa selezione e caratterizzazione dei campioni. Solo le sferule che hanno preservato le loro caratteristiche originarie possono offrire dati realmente significativi. Una scrupolosa indagine geochimica è dunque essenziale per ottenere risultati affidabili.
In apertura: sezione trasversale di un micrometeorite trovato in Antartide. I vari minerali di ossido di ferro nei toni del grigio si sono formati per ossidazione nell’atmosfera terrestre. Crediti: Fabian Zahnow