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Sempre più verdi ai poli e più blu verso l’equatore: è quanto sta accadendo alle acque degli oceani terrestri, secondo un nuovo studio di Science basato su dati satellitari e modelli economici applicati in maniera innovativa a questa ricerca. L’indagine, svolta da un team internazionale, è stata coordinata dalla Duke University di Durham (Stati Uniti); i dati utilizzati sono quelli del satellite Aqua della Nasa, acquisiti tramite lo strumento Modis (Moderate-Resolution Imaging Spectroradiometer) in un arco di tempo compreso tra il 2003 e il 2022.

Il cambiamento nei colori delle acque – spiegano gli studiosi – è connesso alle variazioni nelle concentrazioni della clorofilla prodotta dal fitoplancton, un insieme di organismi marini fotosintetici che è alla base della catena alimentare oceanica. È stato possibile documentare questo fenomeno proprio grazie alle osservazioni dallo spazio: infatti, il satellite Aqua, attivo dal 2002, scandaglia completamente il nostro pianeta ogni due giorni, misurando le lunghezze d’onda della luce.

Sono state utilizzate prevalentemente informazioni satellitari relative al mare aperto, le cui proprietà ottiche sono differenti rispetto alle acque costiere condizionate da una maggiore presenza di sedimenti in sospensione. Dai dati emerge che le acque delle regioni tropicali e subtropicali stanno diventando più blu perché stanno perdendo la clorofilla, al contrario delle acque polari che stanno diventando più verdi perché la clorofilla è in crescita.

Gli studiosi hanno applicato alla ricerca la curva di Lorenz e il coefficiente di Gini, due strumenti di misurazione utilizzati in campo economico. In questo modo, è stato possibile esaminare i cambiamenti avvenuti, nel tempo, nelle porzioni di oceano che contengono più clorofilla: tendenzialmente, le aree verdi sono diventate ancor più verdi, soprattutto nell’emisfero settentrionale della Terra, e anche quelle blu hanno intensificato il loro colore.

Nel condurre la loro analisi, gli autori hanno considerato differenti parametri tra cui la temperatura superficiale degli oceani, la velocità del vento, la luce e la profondità dello strato miscelato; questo parametro si riferisce alla miscelazione dello strato superiore delle acque marine prodotta dall’azione di vento, onde e correnti. I risultati ottenuti, però, non sono attribuibili al cambiamento climatico: gli studiosi, infatti, hanno specificato che il periodo di tempo preso in esame è troppo breve per comprendere un eventuale influsso di fenomeni climatici ricorrenti come El Nino.

Tuttavia, se si dovesse intensificare l’inverdimento delle acque polari, si potrebbe verificare uno squilibrio nel ciclo globale del carbonio assorbito dal fitoplancton, che potrebbe avere effetti sul clima. Infine, lo spostamento del fitoplancton può avere ricadute pesanti sulla fauna marina, dato il suo ruolo nella catena alimentare, e anche sulle attività economiche connesse alla pesca. Per avere un quadro più esaustivo – concludono gli studiosi – è necessario approfondire questo filone di ricerca, avendo a disposizione una serie di dati più ampia dal punto di vista di temporale, soprattutto per comprendere se il clima possa rivestire un ruolo in questo fenomeno.

 

In alto: la fioritura del fitoplancton lungo le coste della Nuova Zelanda osservata dallo strumento Modis di Aqua (Crediti: Nasa image by Jeff Schmaltz, Lance/Eosdis Rapid Response)