Il suo iconico colore lo rende facilmente identificabile nel cielo notturno e gli ha fatto guadagnare l’appellativo di Pianeta Rosso: questa caratteristica fisica di Marte è al centro di uno studio appena pubblicato su Nature Communications e basato sia sui dati di sonde e rover, sia su attività di laboratorio.
L’indagine, condotta da un gruppo di lavoro internazionale, è stata coordinata dalla Brown University. Tra i vari set di dati utilizzati figurano quelli di: Tgo di Exomars, missione Esa con un significativo contributo del nostro paese grazie all’impegno dell’Agenzia Spaziale Italiana, Mars Reconnaissance Orbiter della Nasa e Curiosity, Opportunity e Pathfinder, terzetto di rover anch’essi ‘targati’ Nasa.
Lo studio ha cercato di risalire al tipo di minerale all’origine del colore e quindi alle condizioni climatiche in cui il pianeta ha assunto l’aspetto che conosciamo oggi. Grazie a decenni di osservazioni da parte di varie sonde, è noto che il colorito acceso di Marte si deve alla presenza di minerali di ferro nelle polveri che lo ricoprono: il ferro delle rocce, ad un certo punto nella storia del pianeta, ha reagito con l’acqua liquida oppure con l’acqua e l’ossigeno nell’aria e ha formato la ruggine in una maniera piuttosto simile a quanto avviene sulla Terra.
Nel corso di miliardi di anni, l’ossido di ferro così prodotto si è frammentato e i venti, che spazzano periodicamente il pianeta ancora oggi, lo hanno diffuso a livello globale. Questo ossido, tuttavia, si può presentare in varie situazioni, una condizione che ha alimentato lunghi dibattiti sulla chimica marziana e il suo rapporto con il clima del pianeta e una sua eventuale abitabilità. Studi precedenti, basati unicamente sui dati delle sonde, avevano concluso che l’ossido di ferro presente su Marte doveva essere ematite che si era formata in condizioni di clima secco attraverso reazioni con l’atmosfera del pianeta. Quindi, questo processo sarebbe avvenuto dopo la fase umida della storia di Marte.
Lo studio di Nature Communications, invece, propone uno scenario differente, grazie alla combinazione di nuove analisi dei dati raccolti dalle sonde e di innovative tecniche di laboratorio: il colore rosso, quindi, sarebbe dovuto a un tipo di ossido di ferro contenente acqua, noto come ferridrite.
La ferridrite in genere si forma rapidamente in presenza di acqua fredda e quindi dovrebbe aver avuto origine all’epoca in cui Marte aveva ancora acqua sulla sua superficie. Questo tipo di minerale ha conservato traccia dell’acqua sino ad oggi, nonostante l’azione dei venti che lo hanno polverizzato e sparsa sul pianeta.
Per giungere a queste conclusioni, gli scienziati hanno riprodotto in laboratorio la polvere marziana utilizzando diversi tipi di ossido di ferro e conducendo le analisi con le stesse tecniche delle sonde: la combinazione di ferridrite e basalto è risultata la più coerente con i dati sui minerali acquisiti dallo spazio e anche con quelli raccolti in loco dai rover.
In alto: Marte (Crediti: Nasa-Jpl)