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Un team di ricercatori dell’Università di Kyoto ha rinvenuto tracce di sali minerali in un campione di regolite prelevato sull’asteroide Ryugu.
Carbonato di sodio, alite, solfato di sodio, questi alcuni tra i composti trovati, tutti altamente solubili. La loro presenza suggerisce l’esistenza, in un periodo nel lontano passato della storia dell’asteroide, di contatti con acqua liquida salina.

Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Astronomy, nasce dalle analisi approfondite dei grani di materiale raccolti all’inizio del 2019 dalla sonda giapponese Hayabusa-2, direttamente dalla superficie dell’asteroide, spediti poi sulla Terra in condizioni di massima protezione e integrità.
162173 Ryugu è un corpo di quasi 900 metri di diametro costituito da un agglomerato di detriti per lo più rocciosi. Date le caratteristiche orbitali, viene catalogato come asteroide di tipo C della famiglia ‘Apollo’ ed è un oggetto near-earth.
La composizione di Ryugu è simile a quella delle condriti carbonacee, quindi include materia molto antica, risalente agli albori del Sistema Solare.

Si tratta di un asteroide vicino, facile da raggiungere, che presenta delle caratteristiche interessanti e soprattutto non comuni. Per questo è stato scelto dall’agenzia spaziale giapponese Jaxa come obiettivo per una missione sample return.
Gli scienziati si aspettavano di trovarvi materiale diverso da quello che forma gli asteroidi più diffusi, persino la scoperta di sali minerali altamente solubili era stata in qualche modo predetta.
I risultati delle analisi fanno pensare che Ryugu in un lontano passato facesse parte di un corpo celeste più grande, esistito circa quattro miliardi e mezzo di anni fa, quando il Sistema Solare era ancora in formazione.
Sotto la superficie di questo corpo scorreva acqua sotto i 100 °C, resa liquida dal calore scaturito dal decadimento radioattivo. In seguito, però, quest’acqua è scomparsa.

La ricostruzione degli eventi scaturisce dalle scansioni al microscopio e tomografie di un frammento di regolite del diametro inferiore a 1,5 millimetri, catalogato come ‘C 0071’.
Secondo Toru Matsumoto, ricercatore dell’Università di Kyoto e primo autore dello studio, i cristalli salini rinvenuti spiegherebbero anche le ragioni per cui l’acqua a un certo punto è sparita. Siccome si sciolgono facilmente in acqua, i cristalli possono essere solo il risultato di reazioni di precipitazione, avvenute in quantità limitate di acqua fortemente salina.
Sul corpo più grande di cui faceva parte Ryugu, devono essere apparse delle fratture che hanno esposto l’acqua sotterranea al vuoto spaziale, facendola evaporare o congelare. I sali minerali che sono stati rinvenuti non sono altro che i residui di quell’antica acqua.

Il prossimo passo sarà quello di cercare cristalli simili su altri corpi del Sistema Solare che possiedono, o hanno posseduto, acqua liquida. Ad esempio l’asteroide Cerere, che si pensa abbia ospitato anticamente un oceano di acqua salata situato tra la crosta e il mantello. Oppure le numerose lune di Giove o Saturno che mostrano indizi sufficienti a pensare che posseggano enormi bacini acquiferi, o addirittura oceani profondi decine di chilometri, sotto la superficie ghiacciata.
La presenza di alite o solfato di sodio su corpi come Cerere, oppure Ganimede, Europa, Encelado, sarebbe un valido indizio per ricostruire la storia dell’acqua nel Sistema Solare. Il suo ruolo alla nascita o durante l’evoluzione, soprattutto in che modo abbia partecipato alla trasformazione dei corpi in cui era presente, rendendoli come li vediamo oggi.

 

Immagine: Frammento del campione di materia prelevato su Ryugu e catalogato come ‘C 0071’. Osservato al microscopio, rivela tracce di carbonato di sodio. I colori sono falsati.
Crediti: KyotoU/Toru Matsumoto