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Ogni grande galassia dell’Universo, ritengono gli astronomi, ospita un buco nero supermassiccio al suo centro. Alcuni sono ben visibili, altri vengono celati da spesse nubi di gas e polvere. Combinando i dati raccolti da telescopi di epoche e tecnologie diverse, è stato possibile ottenere una stima più accurata del rapporto tra i giganti nascosti e quelli visibili.

L’eredità di Iras, telescopio spaziale della Nasa attivo negli anni Ottanta, ha permesso di identificare le emissioni infrarosse prodotte dalle nubi che avvolgono questi divoratori cosmici, rendendoli invisibili alla luce visibile. Alcune di queste sorgenti però non erano buchi neri oscurati, ma galassie con elevati tassi di formazione stellare che producono un bagliore infrarosso simile.

A completare il lavoro di Iras è intervenuto NuStar, specializzato nella rilevazione dei raggi X ad alta energia, capaci di penetrare anche le nubi di gas più dense. NuStar ha confermato che in molte delle sorgenti precedentemente individuate si nascondeva un buco nero supermassiccio, orientato in modo tale da risultare oscurato alla maggior parte degli strumenti.

I risultati della ricerca, pubblicata su The Astrophysical Journal, indicano che circa il 35 per cento dei buchi neri supermassicci è fortemente oscurato, ovvero circondato da nubi così spesse da bloccare persino la luce a bassa energia dei raggi X. Ma questa percentuale potrebbe essere addirittura più alta. I modelli basati sulla crescita delle galassie suggeriscono infatti che la vera proporzione dovrebbe essere più vicina a un rapporto di 50/50 tra buchi neri nascosti e visibili.

Noti per la loro natura oscura, i buchi neri possono anche diventare tra gli oggetti più luminosi dell’universo. Quando il gas viene attratto in orbita attorno a un buco nero supermassiccio – come l’acqua che gira attorno a uno scarico – la gravità estrema genera attrito e calore tali da riscaldare il gas fino a centinaia di migliaia di gradi, irradiando una luce così intensa da superare quella di tutte le stelle nella galassia circostante. Questo disco brillante, però, può essere nascosto da nubi di gas e polvere disposte in una forma simile a una ciambella. Se questa è orientata frontalmente rispetto alla Terra, il disco risulta visibile; se vista di taglio, il disco appare oscurato.

Le nubi che circondano il buco nero assorbono la luce visibile, riemettendola come radiazione infrarossa. Ed è proprio questa radiazione che Iras ha rilevato con successo, dimostrando che i buchi neri oscurati possono comunque ‘brillare’ nell’infrarosso, anche quando il loro disco centrale è invisibile agli strumenti ottici.

«Mi sorprende quanto siano stati utili Iras e NuStar per questo progetto, soprattutto considerando che Iras è stato operativo oltre 40 anni fa», sottolinea Peter Boorman, autore principale dello studio. «Questo dimostra il valore duraturo degli archivi dei telescopi e i benefici di utilizzare più strumenti e diverse lunghezze d’onda della luce insieme».

Determinare il numero di buchi neri nascosti rispetto a quelli visibili non solo aiuta a comprendere come questi oggetti crescano, ma offre anche indizi sul loro ruolo nella formazione e nell’evoluzione delle galassie. I buchi neri circondati da enormi nubi di gas e polvere possono infatti consumare enormi quantità di materiale. Se però ne precipita troppo e contemporaneamente verso un buco nero, quest’ultimo comincia a ‘espellere’ l’eccesso, rigettandolo sotto forma di getti energetici che si disperdono nella galassia. Questo processo può dissipare le nubi di gas all’interno della galassia in cui si formano le stelle, rallentando il tasso di formazione stellare.

«Se non avessimo i buchi neri, le galassie sarebbero molto più grandi», spiega Poshak Gandhi, coautore dello studio. «Ad esempio, se nella nostra galassia, la Via Lattea, non ci fosse un buco nero supermassiccio, potrebbero esserci molte più stelle nel cielo. Questo è solo un esempio di come i buchi neri influenzano l’evoluzione delle galassie».

 

In apertura: rappresentazione artistica di un buco nero supermassiccio circondato da una nube di gas e polvere in quattro diverse lunghezze d’onda della luce. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech