Come la nostra Luna, tutti i grandi satelliti naturali del Sistema solare, inclusi quelli di Urano, sono bloccati marealmente, (come risultato di un processo di tidal locking) ovvero in rotazione sincrona. Ciò significa che la forza di gravità ha ‘allineato’ la rotazione con il loro periodo orbitale, quindi lo stesso lato è sempre rivolto verso il pianeta di appartenenza.
Alcuni aspetti del movimento rotazionale dei satelliti e le misurazioni del campo gravitazionale potrebbero fornire indizi sulla presenza o assenza di oceani interni di acqua liquida in diverse lune uraniane. È quanto suggerisce un nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Geofisica dell’Università del Texas e pubblicato su Geophysical Research Letters.
Ma quale metodo di rilevamento degli oceani è più adatto per Urano? Nei sistemi di Giove e Saturno, la presenza di acqua è stata individuata grazie a evidenze geologiche, segni di eruzioni recenti o attive, oppure a segnali di induzione magnetica nei satelliti esposti a un campo magnetico variabile nel tempo. Per Urano, invece, il team ha sviluppato un modello che calcola l’ampiezza delle librazioni fisiche per ciascuna delle sue grandi lune: Miranda, Ariel, Umbriel, Titania e Oberon. Si tratta di piccole oscillazioni che si sovrappongono alla rotazione regolare di un corpo celeste e che possono fornire informazioni sulla sua struttura interna, compresa la presenza e la distribuzione di un oceano liquido sotto un guscio di ghiaccio che, a sua volta, influisce sul movimento di questi ‘ondeggiamenti’.
L’ampiezza delle librazioni – misurata in metri all’equatore – aumenta con il raggio del corpo e l’eccentricità orbitale, mentre diminuisce con la densità media del corpo e il periodo orbitale. In generale, più una luna è grande e vicina a Urano, maggiore è l’ampiezza delle sue oscillazioni. Quelle più lontane, come Titania e Oberon, hanno librazioni più piccole, mentre quelle più vicine al pianeta, come Miranda, Ariel e Umbriel, mostrano oscillazioni più pronunciate.
Un’oscillazione ridotta indica una luna per lo più solida e una più marcata suggerisce che la superficie ghiacciata galleggia su un oceano di acqua liquida. L’analisi di questi ondeggiamenti, se combinata con i dati gravitazionali, permette di calcolare la profondità dell’oceano, lo spessore del ghiaccio sovrastante e di determinare la quantità di nucleo roccioso presente all’interno del satellite.
Per alcune lune come Miranda, Ariel e Umbriel, se i gusci di ghiaccio sono abbastanza sottili – meno di 30 chilometri – le librazioni possono superare i 100 metri all’equatore, rendendo così possibile rilevare l’eventuale presenza di un oceano sotterraneo. Se invece gli oceani sono molto sottili, con uno spessore inferiore a 5 chilometri, le oscillazioni possono risultare talmente piccole da non essere facilmente individuabili. Nel caso delle lune più lontane come Titania e Oberon, le librazioni sarebbero probabilmente inferiori a 50 metri, anche se i loro gusci di ghiaccio fossero sottilissimi, rendendo difficile misurarle con precisione. Tuttavia, se le misurazioni delle librazioni potessero raggiungere una precisione di pochi metri – suggerisce il modello – anche queste lune potrebbero rivelare informazioni importanti sulla presenza di oceani sotterranei, soprattutto se relativamente spessi.
Questo studio apre nuove prospettive nell’esplorazione delle lune del settimo pianeta del Sistema solare. La futura missione Uranus Orbiter and Probe nell’ambito del programma Flagship, è un progetto destinato a studiare Urano e i suoi satelliti attraverso un orbiter, che rilascerà anche un sonda nell’atmosfera del pianeta per analizzarla. La proposta mira a un lancio nel 2031, a oltre 40 anni dallo storico flyby di Voyager 2, l’unica sonda spaziale ad aver visitato il sistema di Urano.
In apertura: Urano e le sue 5 lune principali. Crediti: Nasa/Jpl