I microorganismi riescono a sopravvivere in ambienti estremamente salati, oltre il limite finora ritenuto possibile. Lo suggerisce una nuova ricerca dell’Università di Stanford che ha riscontrato attività metaboliche di cellule microbiche all’interno di campioni di acqua con una elevata salinità, prelevata in uno degli ambienti più salati della Terra: le saline di South Bay sulla costa della California meridionale. Qui, all’interno di alcuni bacini industriali, l’acqua marina viene fatta evaporare per ottenere e raccogliere il sale.

Il sale è uno degli elementi fondamentali per la persistenza della vita in ambienti rigidi, in quanto permette all’acqua, necessaria per lo sviluppo della vita, di rimanere liquida a una gamma più ampia di temperature. Tuttavia, alte concentrazioni di sale possono anche inibire i processi biologici. Non a caso la conservazione dei cibi, soprattutto carne e pesce, attraverso la salagione è una pratica di origini antichissime.

La quantità di acqua disponibile per le reazioni biologiche che consentono ai microbi di crescere viene chiamata livello dell’attività dell’acqua e dipende anche dalla quantità di sale presente in acqua. Se l’acqua pura ha un livello di attività dell’acqua pari a 1, questo parametro scende a circa 0.98 per l’acqua marina. Più aumenta la quantità di sale in acqua più diminuisce il livello di attività dell’acqua, arrivando a un certo punto a non permettere alla vita microbica di sopravvivere. Questo è il principio alla base della conservazione dei cibi attraverso la salagione.

Portata avanti nell’ambito della collaborazione Oceans Across Space and Time, che riunisce microbiologi, geochimici e scienziati planetari, la ricerca dell’Università di Stanford ha scoperto ora un nuovo limite per la persistenza della vita in base al livello dell’attività dell’acqua.

Finora, gli studi scientifici avevano mostrato che la maggior parte dei microbi in natura smette di effettuare la divisione cellulare al di sotto di un livello di attività dell’acqua pari a 0,9, mentre il livello di attività dell’acqua più basso in assoluto che in ambiente di laboratorio è riuscito a sostenere tale processo è risultato fino a oggi pari a 0,63.

Pubblicata su Science Advances, la nuova ricerca ha riscontrato che la vita potrebbe essere attiva anche a livelli dell’attività dell’acqua inferiori a 0,54.
Il team è arrivato a questo risultato grazie a tre miglioramenti di indagine. Invece di utilizzare colture pure sono stati prelevati campioni da un vero e proprio ecosistema, esaminando i microbi provenienti da stagni salati all’aperto. Secondariamente è stata utilizzata una definizione più flessibile di vita: al posto di considerare la divisione cellulare, è stato adottato l’aumento della biomassa di una singola cellula come indice principale della attività metabolica, accelerando così i tempi di osservazione.
Infine, l’analisi è stata condotta cellula per cellula con un raro strumento chiamato nanoSims.

«Avere il maggior numero di informazioni possibili su dove e come la vita sopravvive in ambienti estremi sulla Terra ci permette di dare priorità agli obiettivi per le missioni di rilevamento della vita altrove e aumenta le nostre possibilità di successo», afferma Anne Dekas, coautrice dell’articolo.

Immagine in evidenza: ricercatori della collaborazione Oceans Across Space and Time in attività presso le saline di South Bay Salt Works sulla costa della California meridionale. Crediti: Oceans Across Space and Time