Realizzato il primo modello geofisico in assoluto in grado di spiegare l’inaspettata abbondanza di oro e platino nel mantello terrestre. Questi, infatti, appartengono alla categoria degli elementi altamente siderofili (Hse), tra gli elementi più rari che costituiscono l’involucro più voluminoso della Terra.

Gli Hse sono metalli preziosi e molto densi, giunti sulla Terra durante la sua seconda fase di accrescimento tramite gli impatti di grandi planetesimi, ossia piccole aggregazioni di masse da cui si formano in seguito i pianeti. In quanto elementi metallici tra i più pesanti, gli Hse hanno una forte tendenza a essere inglobati nel nucleo terrestre e, per questo motivo, risultano così rari. Tuttavia, alcuni di essi, come l’oro e il platino, sono inspiegabilmente abbondanti.
Un fenomeno che non ha trovato una spiegazione plausibile, almeno fino a oggi.

schema che illustra la spiegazione geofisica più plausibile per l’abbondanza di metalli Hse presenti nel mantello terrestre. Crediti: Southwest Research Institute

Ora, una nuova ricerca, suggerisce che il mescolamento dei materiali del mantello provocato dagli impatti potrebbe aver impedito ai metalli di sprofondare completamente nel nucleo della Terra. Lo studio, pubblicato su Pnas e a cui ha contributo il Southwest Research Institute (SwRI), vede nei moti convettivi e in una regione parzialmente fusa del mantello terrestre i due ingredienti principali della spiegazione proposta.

«Precedenti simulazioni di impatti che penetrano nel mantello terrestre hanno mostrato che solo piccole frazioni di un nucleo metallico di planetesimi sono disponibili per essere assimilate dal mantello terrestre, mentre la maggior parte di questi metalli – compresi gli Hse – defluiscono rapidamente verso il nucleo terrestre», afferma Simone Marchi dello SwRI, coautore dell’articolo.

Le nuove simulazioni sviluppate dai ricercatori si basano sulla presenza nel mantello di una regione parzialmente fusa al di sotto dell’oceano magmatico generato dall’impatto del planetesimo. I metalli, allo stato liquido per le elevate temperature a causa dell’impatto, prima affondano nell’oceano magmatico circoscritto per poi percolare nella zona parzialmente fusa sottostante. Una volta raggiunta questa regione, la compressione fa sì che i metalli si solidifichino, sprofondando così lentamente verso il fondo del mantello.

Durante questo processo anche il mantello fuso si solidifica, intrappolando così il metallo. A seguito di questo raffreddamento, inizia quindi una fase di convenzione nel mantello, ossia il processo di risalita del materiale caldo e di abbassamento di quello più freddo. Alimentato dal calore proveniente dal nucleo terrestre, il processo convettivo porta quindi a un lentissimo movimento di scorrimento e di ridistribuzione dei materiali nel mantello solido.

«Per ottenere questo risultato, abbiamo modellato il mescolamento di un planetesimo impattante con i materiali del mantello in tre fasi fluide: minerali solidi di silicato, magma fuso di silicato e metallo liquido – afferma l’ autore principale dell’articolo Jun Korenaga – La rapida dinamica di questo sistema trifasico, combinata con la miscelazione a lungo termine fornita dalla convezione nel mantello, consente agli Hse provenienti dai planetesimi di essere trattenuti nel mantello».

 

Immagine in evidenza: rendering artistico che illustra un grande impattatore che si schianta sulla Terra giovane. Crediti: Southwest Research Institute.