È il pianeta più vicino al Sole e le dimensioni extra large del nucleo sono una delle sue caratteristiche più note: si tratta di Mercurio, che torna alla ribalta per uno studio dedicato alla sua composizione chimica, con particolare riferimento al cromo. L’indagine, dal titolo “Chromium on Mercury: New Results From the Messenger X-Ray Spectrometer and Implications for the Innermost Planet’s Geochemical Evolution”, è stata pubblicata su Journal of Geophysical Research Planets, rivista di scienze planetarie dell’American Geophysical Union.

La ricerca, coordinata dall’Università dell’Arizona, si basa sui dati della sonda Messenger della Nasa, attiva sino al 2015, e su modelli informatici; Mercurio, che sinora ha ricevuto solo le ‘visite’ delle sonde Mariner 10 (anch’essa ‘targata’ Nasa) e appunto Messenger, presenta ancora molti aspetti poco conosciuti.

Messenger (Mercury Surface, Space Environment, Geochemistry and Ranging) ha evidenziato che il primo pianeta del Sistema Solare è molto differente dalla Terra, non solo per le dimensioni del nucleo rispetto al mantello ma anche per la composizione chimica. Infatti, Mercurio ha quantità relativamente inferiori di ossigeno: secondo gli studiosi, questa caratteristica indica che nell’antico Sistema Solare il pianeta si è formato da ‘mattoni’ differenti anche se allo stato attuale non è facile definire con precisione il suo stato di ossidazione.

Per approfondire il profilo chimico di Mercurio, il team della ricerca ha utilizzato i dati di Messenger per misurare e mappare la diffusione del cromo sulla superficie del pianeta. Questo elemento è noto per essere scintillante e resistente alla corrosione e si può presentare in una vasta gamma di stati: di conseguenza, la sua quantità può fornire numerose informazioni sulle condizioni chimiche in essere quando è stato incorporato nelle rocce del corpo celeste.

Gli scienziati hanno rilevato che l’ammontare di cromo sul pianeta è variabile, in base ad alcuni modelli che hanno simulato le fasi che hanno portato alla separazione di crosta, mantello e nucleo. Mettendo a confronto i risultati dei modelli con i dati relativi alle misurazioni delle quantità di cromo, il gruppo di lavoro ritiene che Mercurio debba avere questo elemento soprattutto nel suo vasto nucleo metallico e ha posto nuovi vincoli allo stato di ossidazione generale del pianeta. Dall’analisi, inoltre, emerge che man mano che il pianeta diventa più carente di ossigeno, al suo interno si ‘nasconde’ una quantità di cromo sempre più consistente. Questa consapevolezza – secondo gli autori del saggio – migliora significativamente la nostra comprensione della composizione e dei processi geologici in atto all’interno di Mercurio.

«Questa è la prima volta che il cromo è stato rilevato e mappato direttamente su qualsiasi superficie planetaria – ha dichiarato Larry Nittler, ricercatore presso l’Università dell’Arizona e primo autore dell’articolo – A seconda della quantità di ossigeno disponibile, si può presentare sotto forma di ossido, di solfuro oppure di minerali metallici e, combinando i dati con modelli all’avanguardia, possiamo raccogliere informazioni uniche sull’origine e sulla storia geologica di Mercurio».

L’identikit del pianeta è destinato a diventare sempre più preciso grazie a BepiColombo, missione congiunta Esa-Jaxa destinata appunto allo studio di Mercurio; la sonda, lanciata il 20 ottobre 2018, dovrebbe entrare nell’orbita del corpo celeste nel 2025 ma ha già compiuto tre sorvoli realizzando delle immagini di grande interesse. BepiColombo, inoltre, vanta una significativa partecipazione dell’Italia che, grazie al supporto e alla gestione dell’Agenzia Spaziale Italiana  – in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’Università di Roma “La Sapienza” – ha realizzato con l’industria nazionale 4 dei 16 strumenti ed esperimenti a bordo.

 

In alto: Mercurio visto da Messenger (Crediti: Nasa/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington)