La nostra Via Lattea è davvero così speciale? Un nuovo studio, pubblicato su Nature, ha esaminato la composizione chimica delle stelle della galassia con archivi e dati di altre galassie simili ad essa.
Lo studio ha messo a confronto i dati di diverse indagini a cominciare da Apogee (Apache Point Observatory Galactic Evolution Experiment), che ha campionato con un’indagine spettroscopica sistematica e omogenea tutte le principali popolazioni di singole stelle della Via Lattea, comprese le proprietà fisiche e i movimenti 3D di milioni di esse, dedotte dai loro spettri.
Anche la sonda Gaia dell’Esa ha monitorato la luminosità, il movimento e la distanza di quasi 1,5 miliardi di stelle nella nostra galassia. Inoltre, altri dati sono stati ricavati dall’indagine Manga, che ha studiato quasi 10.000 galassie in profondità.
A completare il quadro delle indagini, vi sono anche recenti simulazioni di formazione ed evoluzione delle galassie, come la simulazione Tng50, che segue la storia di migliaia di galassie in un universo modello da dopo il Big Bang ai giorni nostri.
Lo studio – a firma di Jianhui Lian e Maria Bergemann del Max Planck Institute for Astronomy – ha considerato la composizione chimica delle stelle che sono prevalentemente costituite da idrogeno ed elio, con un ‘pizzico’ di elementi più pesanti dell’elio che, solo in astronomia, sono individuati come “metalli”.
La presenza di metalli è dovuta all’esplosione di astri massicci a fine vita e, insieme ad altri elementi, si ritrovano negli strati esterni di stelle giganti gonfie che si sposteranno nello spazio.
La concentrazione di metalli nel mezzo interstellare – la miscela a bassa densità di gas e polvere che riempie lo spazio tra le stelle – aumenta nel tempo. Le stelle nate prima contengono meno metalli, mentre quelle nate più tardi ne contengono di più. La mappatura identifica con precisione anche quali regioni di una galassia ha stelle con meno o con più metalli.
Ed è a questo punto che entra in gioco la Via Lattea: gli scienziati hanno analizzato le stelle all’interno della nostra galassia.
Attraverso i loro spettri, il loro contenuto di metalli, la temperatura superficiale e altre proprietà fisiche, Lian, Bergemann e i loro colleghi hanno deciso di ricostruire una mappatura degli astri con prevalenza dei metalli nella Via Lattea.
Tenendo conto che il nostro Sole si trova a circa 26.000 anni luce dal centro galattico, i ricercatori hanno rilevato che nelle stelle posizionate dal centro della galassia verso l’esterno, la presenza di metallo aumenta mentre a una distanza ancora maggiore, il contenuto medio di metallo scende di nuovo, a circa un terzo del valore solare, pari a circa 50.000 anni luce dal centro.
Per capire meglio il fenomeno, i ricercatori hanno esaminato separatamente stelle di diverse fasce d’età.
Osservando separatamente le stelle più giovani e quelle più vecchie, hanno scoperto che ogni gruppo di età seguiva fondamentalmente una tendenza ininterrotta con un contenuto di metallo più elevato più vicino al centro e un contenuto inferiore più lontano.
Da qui la domanda se la Via Lattea è tra le tante galassie osservate o se ha qualcosa di speciale. Nelle indagini a confronto, solo l’11% delle galassie nel campione Tng50 e circa l’1% delle galassie nel campione Manga hanno mostrato un simile up-and-down della metallicità media. La discrepanza tra l’11% e l’1% è probabilmente dovuta a una combinazione di incertezze nei dati Manga e alla limitazione delle simulazioni realistiche nell’universo modello Tng50.
Secondo questo studio, la Via Lattea è tra le galassie insolite ma non è la sola.
I ricercatori hanno cercato di dare risposte circa la presenza della scarsità comparativa di stelle ricche di metalli vicino al centro galattico, chiedendosi il perché del fenomeno.
Tra le ipotesi hanno valutato la formazione del cosiddetto bulge, una regione approssimativamente sferica di stelle più vecchie che circonda il centro galattico a una distanza di circa 5000 anni luce. La formazione del rigonfiamento avrebbe utilizzato la maggior parte dell’idrogeno gassoso disponibile, rendendo la successiva nascita di nuove stelle molto più difficile.
Altra ipotesi presa in considerazione è l’attività del buco nero super massiccio centrale Sagittarius A*, che avrebbe restituito particelle e radiazioni dalle sue immediate vicinanze, inibendo la formazione stellare.
Proprio di recente il telescopio Ixpe (Imaging X-ray Polarimetry Explorer) della Nasa – realizzato in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana e che lavora sulla polarimetria X- potrebbe risolvere la domanda degli scienziati del Max Planck Institute: «Un’eventuale attività primordiale del buco nero centrale potrebbe aver influito a determinare l’attuale distribuzione di metallicità nelle stelle della nostra Galassia. Ixpe, ad oggi, ci parla di un’attivazione (o ri-attivazione) del buco nero centrale a 200 anni fa, ma le future osservazioni potranno aiutarci a comprendere meglio quali siano i processi fisici responsabili della sua attivazione e l’eventuale frequenza», commenta Imma Donnarumma di Asi.
In apertura: rappresentazione artistica della Via Lattea, vista dall’esterno (Credito: Stefan Payne-Wardenaar)